Parasite: recensione del film di Bong Joon-Ho

Con occhio lucido e spietato, Bong Joon-Ho indaga la società e la lotta tra le classi, con un tono che dalla commedia diventa un thriller fino a trasformarsi in dramma.

parasite recensione

La recensione di Parasite non può non partire dalla riflessione generale sul lavoro del suo regista, quel Bong Joon-Ho che, dopo aver lavorato in USA, producendo Snowpiercer e Okja, torna nella sua Corea del Sud, per affrontare di nuovo il conflitto di classe. Lo fa con un film dalla precisione geometrica e dall’animo tumultuoso, una storia che nel suo schema perfetto incasella ambizioni, appetiti, brutture, bassezze umane.

 

La storia di Parasite ruota intorno al rapporto in parte inconsapevole tra due famiglie. Da una parte, in un seminterrato umido, c’è la famiglia Ki-taek, dall’altro invece, in cima a una collina, nella zona residenziale della città, in una villa luminosa ed elegante, c’è la famiglia Park, che possiede ed ottiene tutto ciò che i soldi possono comprare. Due famiglie a loro modo felici, ma complementari l’una all’altra.

L’incontro trai due mondi avviene per caso, quando il figlio maggiore dei Ki-taek riesce ad essere assunto come insegnante di inglese da Park, che vogliono lezioni private per la loro primogenita. Con una serie di altri brillanti e divertenti escamotage, il ragazzo riesce pian piano a coinvolgere tutta la sua famiglia e a farla assumere al servizio di casa Park. Sembra così crearsi un nuovo equilibrio in cui i poveri lavorano per i ricchi e sono così un po’ meno poveri, mentre i ricchi assumendo i poveri hanno l’illusione di vedere esaudite le loro necessità, ignorando che hanno assunto dei ciarlatani (il ragazzo Ki-taek non ha i titoli necessari a insegnare e la sorella, assunta come insegnante d’arte del piccolo di casa, non sa nulla di storia e tecnica artistica).

Racconta la lotta di classe

Bong Joon-Ho mette in scena il suo affresco, o meglio, il suo schema in maniera metodica, assicurandosi che il punto di vista della sua macchina da presa sia sempre nel posto più adatto a mostrare l’assurdo e il normale che si sovrappongono, incollando lo spettatore allo schermo, regalando al suo pubblico una storia stratificata che gioca con i generi: una favola di riscatto sociale, che si trasforma in thriller tesissimo e poi in revenge movie, sanguinoso, come il genere richiede.

È chiaro che l’interesse del regista, come aveva già dimostrato nella sua passata filmografia e anche nella sua prima incursione americana, Snowpiercer, è quello di rappresentare l’impossibilità di una comunicazione tra le classi, tra gli strati della società, una comunicazione che avviene solo nell’ambito del rapporto padrone-servo, un rapporto che si sgretola non appena il povero si dimostra più ingordo che furbo e il ricco più stupido che colto.

Parasite come Us di Jordan Peele

Parasite è una calzante rappresentazione della società, non solo di quella sudcoreana, ma di quella mondiale, ed è quello che aveva provato a mettere in scena anche Jordan Peele con Us, avvalendosi però di una metafora che toglieva immediatezza al messaggio. Bong Joon-Ho invece è crudo, diretto, spietato, e allo stesso tempo elegantissimo, non ci recapita un messaggio da interpretare ma ci racconta una realtà di cui prendere atto.

Parasite è una tempesta di fulmini, un fenomeno naturale bellissimo, eppure terribile e potenzialmente distruttivo. Un capolavoro che ha conquistato la Palma d’Oro a Cannes 2019, e che arriverà in sala il 7 novembre, distribuito da Academy Two.

- Pubblicità -