Piove: la recensione del film di Paolo Strippoli

In sala dal 10 novembre, il nuovo film di Strippoli si configura come una metafora horror dedicata al tema della violenza, ai modi in cui si genera e manifesta.

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Cosa si nasconde dietro la violenza improvvisa e che porta al verificarsi di quei casi di cronaca nera che ascoltiamo distrattamente alla televisione o alla radio? Il film Piove, diretto da Paolo Strippoli (già co-regista di A Classic Horror Story) e basato su un soggetto originale di Jacopo Del Giudice vincitore del Premio Solinas alla Sceneggiatura, si propone di offrire una risposta in chiave horror a questa domanda. Presentato nel Panorama Italia di Alice nella Città, sezione parallela e autonoma della Festa del Cinema di Roma, è questo un film che presenta dunque vicende quotidiane ma raccontate attraverso le metafore del genere e pertanto attraverso punti di vista nuovi.

 

La vicenda si concentra infatti sulla famiglia Morel, composta da Thomas (Fabrizio Rongione), Enrico (Francesco Ghenghi) e la piccola Barbara (Aurora Menenti). Manca la moglie e madre Cristina (Cristiana Dell’Anna), rimasta uccisa in un incidente causato dallo stesso Enrico. Da quando tale triste evento si è abbattuto su di loro, i rapporti tra i rimanenti membri della famiglia non sono più stati gli stessi. In particolare, padre e figlio provano acuto risentimento l’uno per l’altro, rinfacciandosi colpe e mancanze. Nel mentre, la pioggia che cade incessantemente su una grigia Roma fa risalire dai tombini un vapore proveniente da una misteriosa melma grigiastra, la quale sembra condurre alla follia chiunque vi entri in contatto.

La violenza latente dell’essere umano

Il film di Strippoli si apre con una sequenza dei titoli di testa che mostra atti di violenza appartenenti ad ogni epoca, da quella degli antichi romani sino a quella dei giorni nostri. Di questo parla apertamente Piove, di quegli atti d’ira improvvisa e incontrollabile che si verificano e diffondono come un’epidemia. Quante volte ascoltando notizie di questo tipo al telegiornale ci siamo ritrovati a dire “la gente sta diventando sempre più pazza”? Piove vuole allora andare a ricercare le cause di questa pazzia, ammesso che ve ne siano. Per farlo si avvale di una metafora quale la melma poc’anzi citata, che emette un vapore che rende chi lo respira particolarmente rabbioso.

Una causa da film di fantascienza, dunque, che va però in realtà a stressare ulteriormente persone e situazioni già al limite della tollerabilità. Tutti i rancori, le delusioni e le frustrazioni che a ogni individuo può capitare di provare nell’arco di una giornata vengono dunque fatte esplodere da questo vapore, che diventa un vero e proprio un virus. Non vengono fornite indicazioni sulla provenienza o la natura di questa melma, essa ha unicamente la funzione di portare alla luce quella violenza che da sempre e per sempre sembra essere latente nell’essere umano, in attesa di essere svegliata e sfogata.

La ripartizione in tre capitoli, o atti, del film porta dunque a confrontarsi con stadi diversi di questa malattia, dal contatto alla sua diffusione fino alla sua inequivocabile manifestazione. Allo stesso tempo, il film offre uno sguardo tanto sul micro quanto sul macro. Se il focus rimane sempre la famiglia Morel e le dinamiche tra di loro, viene però anche raccontato quanto avviene intorno a loro, con situazioni di contorno che mostrando diversi altri scenari di violenza contribuiscono al portare avanti la metafora alla base del film. Tutto ciò è accompagnato da un’evidente ricerca estetica, mirata a dar vita ad immagini ammalianti ma dietro le quali sembra nascondersi un’ulteriore senso di pericolo.

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Un horror dall’atmosfera kinghiana

Guardando Piove, si potrebbe in più occasioni avere la sensazione di star assistendo ad un adattamento di un romanzo di Stephen King. Questo racconto, incentrato su degli specifici personaggi ma con vicende che riguardano tutta la città intorno a loro e con una forza maligna e ultraterrena che genera la più totale follia, sembra rimandare in più occasioni ad alcune opere di King com L’ombra dello scorpione, Cell o al suo capolavoro It. Vi è dunque un’atmosfera particolarmente lugubre che attraversa tutto il film e che anticipa un climax particolarmente cruento.

La sceneggiatura, scritta da Del Giudice insieme a Strippoli e Gustavo Hernández costruisce dunque un senso di attesa, svelando le proprie carte una per volta. Non sempre in realtà la costruzione narrativa risulta convincente, specialmente nel momento in cui si giunge ad un terzo atto che si affida troppo a dinamiche prevedibili e trattandole in modo sbrigativo. Per quanto la risoluzione ultima possa generare qualche perplessità, viene però lasciato spazio anche ad un’ambiguità che è certamente un valore aggiunto in un panorama di conclusioni sempre troppo didascaliche.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
piove-recensione-paolo-strippoliCon Piove Strippoli realizza un horror intriso di violenza e atmosfere cupe, portando avanti un racconto che sembra provenire da un romanzo di Stephen King. Non tutto funziona, come ad esempio un terzo atto meno solido e brillante rispetto a quanto visto fino a quel momento. Il film si lascia comunque apprezzare per l'utilizzo che viene fatto dei canoni del genere e di alcune soluzioni visive affascinanti.