È difficile immaginare, pensando al primo Predator del 1987 con Arnold Schwarzenegger, che quel film muscolare avrebbe dato vita a un universo narrativo così variegato. Eppure Predator: Killer of Killers, dal 6 giugno 2025 su Disney+, conferma che la saga non solo è viva, ma ha ancora voglia di reinventarsi. Questa volta lo fa in una forma inedita: un’antologia animata in tre capitoli ambientati in epoche diverse – l’era vichinga, il Giappone feudale e la Florida durante la Seconda Guerra Mondiale. L’idea alla base è affascinante: i Predator (o Yautja, come preferiscono farsi chiamare dai fan più accaniti) si spingono in diverse epoche della storia umana, attirate dalla violenza e dalla brutalità, alla ricerca dei “killer dei killer”, i guerrieri più letali di ogni tempo.
Il primo episodio,
The Shield, è ambientato nell’841 d.C. e ci
introduce alla figura della guerriera vichinga Ursa, motivata da
una sete di vendetta quasi mitologica. L’elemento narrativo più
brillante di questa sezione è il parallelismo tra il
Predator e Grendel, il mostro del poema anglosassone
Beowulf. La regia e l’animazione, affidate allo studio
The Third Floor, cercano di ricreare un’atmosfera cupa e
tempestosa che strizza l’occhio a Game of Thrones. Tuttavia,
anche se l’idea è potente, l’animazione – pur tecnicamente solida –
manca di quel guizzo creativo capace di rendere memorabile ogni
frame. C’è una certa “perfezione plastificata” nello stile visivo,
che toglie un po’ di anima al prodotto finale.
Lo scudo, la spada, il proiettile e il sangue: tre stili per una stessa caccia
Il secondo segmento, The Sword, ambientato nel Giappone medievale, si distingue per la quasi totale assenza di dialoghi e una forte componente visiva ed emotiva. Due fratelli, separati da doveri e onore, si ritrovano in uno scontro fatale interrotto dall’arrivo del Predator. Questo episodio è probabilmente il più elegante e cinematograficamente raffinato dei tre, con sequenze coreografate come duelli danzati e una colonna sonora intensa firmata Benjamin Wallfisch. L’approccio silenzioso, basato sul gesto e sullo sguardo, ricorda i film di Akira Kurosawa e conferisce alla narrazione una dignità tragica non banale per un film di questo franchise.
Il terzo capitolo,
The Bullet, ci trasporta nella Florida
della Seconda Guerra Mondiale, dove incontriamo Torres, un pilota
latino-americano dal carattere solare e allegro. È lui il cuore
dell’antologia: loquace, coraggioso e dotato di un umorismo che
rompe la tensione, diventa rapidamente il preferito del pubblico.
Le scene d’azione aeree sono le più spettacolari del film, con
aerei tagliati in aria come burro da armi aliene e inseguimenti
mozzafiato tra le nuvole. Anche qui, però, si avverte il desiderio
di vedere queste sequenze in live action, dove la potenza visiva
avrebbe potuto essere ancora più incisiva. Eppure, la scelta
dell’animazione consente una libertà stilistica che permette ai
Predator di assumere forme e dettagli nuovi – come quello che
indossa un mantello fatto di spine o un altro che sembra uscito da
un videogioco cyberpunk.
Predator: Killer of Killers si chiude in un’arena interplanetaria
Il climax del film arriva quando i tre protagonisti sopravvissuti – la guerriera Ursa, il samurai Kenji e il pilota Torres – vengono trasportati sul pianeta natale dei Predator, dove devono combattere in un’arena per intrattenere la popolazione aliena. L’idea richiama le arene romane, con un tocco di gladiator sci-fi, e permette un’interazione interculturale interessante: come comunicano tre guerrieri di epoche e mondi diversi? Con i gesti, gli sguardi e, ovviamente, le armi. La scena funziona, ha ritmo e una buona dose di ironia, anche se manca quel colpo di scena capace di lasciarci a bocca aperta.
Predator: Killer
of Killers è un esperimento riuscito a metà. È
visivamente curato, ben costruito e rispettoso del mito Predator,
ma soffre di una certa freddezza nella sua esecuzione. Il cuore c’è
– soprattutto nei momenti più intimi e drammatici del secondo
episodio – ma a volte viene sovrastato da una narrazione che tende
al compiaciuto piuttosto che al coinvolgente. Eppure, l’impegno del
regista Dan Trachtenberg nel mantenere alta la
qualità del franchise è evidente, anche nella volontà di dare
continuità ai suoi “figli” (occhio all’ultima scena del film!).
Dopo il successo di Prey nel 2022 e in
attesa del futuro film live-action Predator:
Badlands, possiamo dire che la saga è in buone mani.
Magari non perfette, ma sicuramente appassionate. E dopo quasi
quarant’anni, questo non è poco.
Predator: Killer of Killers
Sommario
Predator: Killer of Killers è un esperimento riuscito a metà. È visivamente curato, ben costruito e rispettoso del mito Predator, ma soffre di una certa freddezza nella sua esecuzione.