Prisoners: recensione del film con Hugh Jackman

Prisoners

Arriva al cinema Prisoners, il nuovo film del regista Denis Villeneuve con protagonisti nel cast Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal e Paul Dano.

 

In Prisoners, in seguito alla scomparsa della figlia Anna e dell’amica Joy, Keller Dover inizia disperatamente a cercare le due bambine, affiancato dal detective Loki. Durante le indagini viene arrestato Alex, un ragazzo ritardato sui cui però la polizia non trova nulla. Il giovane viene così rilasciato, ma Keller, sicuro dei propri sospetti e accecato dalla rabbia, decide di rapire Alex e di sottoporlo ad estenuanti sessioni di tortura, con l’intento di farsi indicare il luogo in cui le bambine sono nascoste. Ma è realmente lui il rapitore?

Ritornando ancora una volta sul tema prediletto della violenza umana, qui presentata nella sua forma più pura e seminale come solo con Polytechnique era riuscito a fare, il regista Denis Villeneuve ci trasporta in una vera e propria epopea di 153 minuti in cui si narra tutto il calvario della perdita di un figlio e del conseguente sforzo, fisico ed emotivo, per cercare di ritrovare il proprio affetto perduto, anche a costo di commettere azioni che vanno contro l’etica e la morale comunemente accettata. L’autore, facendo leva sulla splendida e macchiavellica sceneggiatura di Aaron Guzikowski, dipinge sapientemente la disperazione di un padre, interpretato da un composto seppure poliedrico Hugh Jackman, alle prese con i propri demoni interiori, il senso di impotenza e tutta la rabbia che scaturisce dalla paura delle circostanze.

Viaggiando fluidamente in parallelo tra il thriller classico e detective story, Prisoners (titolo ambiguo e polisemico in quanto fa riferimento sia alla prigionia delle vittime che a quella dei carnefici) ci offre uno spaccato molto fedele dei procedimenti di indagine della polizia americana durante i frequenti casi di rapimento, trovando la sua piena espressioni nella straordinaria interpretazione di Jake Gyllenhaal nei panni del nevrotico detective Loki, anch’egli prigioniero nel senso di impotenza e nelle aspettative che gravano su di lui. Un cast che nel complesso si dimostra ampiamente all’altezza della situazione, dove figurano i nomi di Maria Bello, Paul Dano e Terrence Howard, affiancati da una regia sapiente, misurata eppure spietata, la quale si nutre di una solida collaborazione tecnica, a cominciare dalla crepuscolare e “umida” fotografia di Roger Deakins e dalle stranianti musiche di Jóhann Jóhannsson.

Prisoners, il film

Prisoners

Seppur obiettivamente troppo estesa, con evidenti ricadute sul ritmo generale e sulla tenuta d’insieme, la pellicola si dipana egregiamente, scorre forte e sicura nel solco di una violenza e una tensione sempre crescenti, portando lo spettatore a un vero e proprio processo di pathòs identificativo che si fa plurimo, rivolgendosi al contempo al padre Keller, al poliziotto Loki e persino al (presunto) maniaco/vittima Alex. Un processo ai limiti della schizofrenia filmica, che rende Prisoners un film potente e, almeno nella struttura narrativa, perfetto.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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