Rasputin – la verità supera la leggenda – La sua storia è avvolta nella leggenda, nella diceria e soprattutto in quello che la Storia ha permesso si sapesse di lui fino a questo momento: stregone, diabolico monaco, lussurioso e abbietto, ma magico taumaturgo. Questo è Rasputin. Ma cosa succede se si va ad indagare la vera natura del personaggio storico, al di là della leggenda?

Tutti i passaggi della sua vita sono rispettati, raccontati attraverso lo strumento narrativo del flashback e utilizzando un sistema visivo raffinato e pop allo stesso tempo, ovvero l’introduzione nel quadro di vere e proprie finestre temporali che ci aiutano ad intersecare i piani narrativi ed ha sentire tutti i punti di vista relativi a chi conobbe Rasputin in vita. L’estetica del film, che per certi versi ricorda il Greenaway di Rembrant J’accuse, si rifà ad una tradizione pittorica che dai russi arriva fino a Rembrant (appunto!) e Caravaggio, prediligendo il piano sequenza fisso e la suggestione che questa figura così complessa e misteriosa proietta ancora oggi sulla spettatore e sulla storia stessa.
Rasputin – la verità supera la leggenda

Voce narrante, che ipnotizza lo spettatore ancor più dello sguardo di ghiaccio del protagonista, è quella di Franco Nero, anche co-produttore, che ci permette di addentrarci nelle lande siberiane fotografate di blu dallo stesso Luois, e di accoccolarci negli angoli degli interni che invece si tingono del rosso della passione, del sangue, ma anche della misteriosa vita che viene raccontata.
Certo non si può parlare di un film tradizionale, come già accennato siamo ai limiti dello sperimentalismo, e sicuramente quindi il filma avrà vita difficile, ma questo Rasputin riesce comunque a farsi apprezzare se non altro per il tentativo da parte del regista di rimettere in discussione questo personaggio e per la straniante sensazione che il film lascia nello spettatore.
