Era il 2018 quando la Disney distribuiva in sala Oceania, film d’animazione originale che, ricalcando la formula del musical tanto cara ai lungometraggi della Casa di Topolino, apriva la strada verso una innovazione, tecnica e narrativa, che si è interrotta per 5 anni. Fino a oggi, infatti, lo studio ha prodotto solo sequel (Ralph Spacca Internet e Frozen 2 – Il segreto di Arendelle) ma il prossimo 5 marzo sarà il turno di Raya e L’Ultimo Drago.

 

Il nuovo film Walt Disney Animation arriverà su Disney+ con accesso VIP oppure, laddove e se saranno aperti, al cinema. 

La storia di Raya e L’Ultimo Drago

La storia ci trasporta in una terra lontana e magica, il regno di Kumandra, un mondo in cui uomini e draghi vivevano insieme in armonia, fino a che le forze del male non hanno preso il sopravvento e trasformato tutto il regno in pietra. Per contrastarle, gli ultimi draghi si sacrificarono, facendo un incantesimo che intrappolò le creature. Questo però portò alla divisione di Kumandra in piccole tribù, che per 500 anni sono rimaste separate e diffidenti, rese ostili dalla scomparsa dei draghi. Quando le creature maligne si risveglieranno, Raya, principessa e guerriera, dovrà intraprendere un lungo viaggio per cercare di riportare in vita l’ultimo drago, il solo in possesso della magia necessaria per scacciare la minaccia e per riunificare Kumandra.

Viaggio nel Sud Est Asiatico

Il team creativo che ha portato alla realizzazione di Raya e L’Ultimo Drago è un gruppo di talenti multietnico che ha lavorato per rendere il film il più inclusivo possibile. La sceneggiatura è opera di Qui Nguyen e Adele Lim, di origini vietnamiti e malesi, i produttori sono Peter Del Vecho (già vincitore di un premio Oscar per Frozen), nato negli USA, e Osnat Shurer (candidata al premio Oscar per Oceania), che invece viene da Israele. La regia è firmata dal messicano Carlos López Estrada insieme allo statunitense Don Hall, già vincitore dell’Oscar per Big Hero 6. Questo gruppo culturalmente così vario ha portato alla realizzazione di un film che rispecchia la diversità di fonti e background. Inoltre, la location di Kumandra, ufficialmente un paese fittizio, è ufficialmente ispirata al sud est Asiatico, tanto che il gruppo di filmmaker ha visitato Thailandia, Vietnam, Cambogia, Birmania, Indonesia, Filippine e Laos prima di cominciare a lavorare al film. 

Il percorso di ricerca ha portato sullo schermo un immaginario, dai paesaggi alle fisionomie dei personaggi, passando per costumi e accessori, che mai aveva raggiunto il mondo Disney e che ora ha la possibilità di una piattaforma mondiale davvero ampia.

Un’evoluzione nella drammaturgia d’animazione Disney

Non solo ambienti e ispirazioni ma anche la struttura narrativa di Raya e L’Ultimo Drago indica una forte volontà dello studio di rinnovarsi e rinnovare il linguaggio che da sempre lo ha contraddistinto. Nel film, infatti, non ci sono canzoni, non ci sono dunque quei momenti di svolta o di riflessione che sempre, da Biancaneve in poi, sono stati affidati a dei testi in musica. Principessa non canterina e guerriera, Raya si candida quindi a diventare uno dei personaggi Disney di nuova generazione che aprirà molte strade, non solo da un punto di vista della rappresentazione, ma anche da un punto di vista della drammaturgia, settore che non sempre va di pari passo con la sperimentazione tecnica, che qui, neanche a dirlo, raggiunge nuove vette di meraviglia visiva. 

Un’avventura action tutta al femminile

Raya e L’Ultimo Drago è sicuramente un’avventura al femminile. Non solo la protagonista, ma anche l’antagonista principale e alcuni dei personaggi più importanti della storia sono donne; da una parte c’è il comic relief, che in questo caso è rappresentato all’ultimo drago del titolo, Sisu, una donna appunto. Ottimista, fiduciosa, buffa e divertente, Sisu è il giusto contraltare a Raya, che invece è totalmente orientata verso la sua missione, concentrata e focalizzata tanto da correre il rischio di dimenticare quali sono i valori per cui ci si batte. Di fronte alla nostra nobile e cocciuta protagonista c’è Namaari, anche lei dedita completamente alla sua missione, però distorta dalla paura, incapace di guardare al futuro in maniera benevola. Si tratta forse del personaggio più interessante, quello che più di tutto si evolve, che impara a fidarsi degli altri e ad accogliere dentro di sé la diversità degli altri popoli, capendo, nel profondo, che la chiave per la sopravvivenza è l’unità.

Queste giovani donne protagoniste dell’avventura Disney sono però travolte da quella che sembra la cifra stilistica predominante nel film, ovvero l’azione. Sì, perché se c’è un genere cinematografico al quale Raya sembra rispondere, oltre all’avventura e al fantasy, è proprio l’action che diventa protagonista nelle bellissime sequenze di combattimento. Spada, lancia e armi che cambiano forma e utilizzo sono i coprotagonista di danze aggressive e perfettamente coreografate che diventano il vero centro dell’azione e che caratterizzano tutto lo stile visivo e narrativo di Raya e L’Ultimo Drago. Il film Disney si rivela essere un vero e proprio action fantasy con principesse guerriere protagoniste, senza canzoni e con una miriade di personaggi secondari divertenti e simpatici, che riescono, ognuno a suo modo, a ritagliarsi un piccolo spiraglio di visibilità nella storia. 

Il messaggio di unità e fiducia

Al netto di ogni innovazione drammaturgia e paesaggistica, del lavoro sui personaggi protagonisti e delle meraviglie tecniche che ogni volta la squadra Disney riesce a mettere sotto al naso dei suoi spettatori, il vero cuore di Raya e L’Ultimo Drago è un messaggio positivo ed edificante, che predica la fiducia e la collaborazione trai diversi, non importa quanto distanti e apparentemente in conflitto. Sembra una beffa il fatto che questo messaggio sia stato affidato ad un film che è stato ultimato tanti mesi prima dell’inizio della pandemia (attualmente in corso) e che adesso sembra essere estremamente attuale, dato lo stato di incertezza e divisione che viviamo da ormai dodici mesi.

Raya e L’Ultimo Drago vuole ricordarci che siamo sullo stesso pianeta e che condividere le difficoltà, aiutandoci e fidandoci non può fare che bene alla collettività tutta.

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