Ready Player One, recensione del film di Steven Spielberg

Ready Player One

Reduce da due nomination agli Oscar con The Post, Steven Spielberg è pronto per tornare in sala con Ready Player One, una nuova avventura fantascientifica tratta dal romanzo cult omonimo di Ernest Cline, al cinema dal 28 marzo. Proprio l’autore, insieme allo sceneggiatore Zak Penn (The Avengers), si è messo al servizio del regista, realizzando una storia che si distacca dall’originale, mantenendone lo spirito, e si trasforma in pura narrazione spielberghiana.

 

il vincitore acquisirà il possesso di OASIS e l’eredità di Halliday

Nell’anno 2045, la vita sulla Terra è compromessa dalla sovrapopolazione e dall’inquinamento. Come via di fuga dalle loro vite nelle città decadenti, le persone si immergono nel mondo virtuale di OASIS, dove possono essere tutto ciò che vogliono. Wade Watts, un giovane da Columbus che frequenta OASIS, tenta di vincere le sfide create dall’ideatore di OASIS, J.D. Halliday, per raggiungere l’Easter Egg: il vincitore acquisirà il possesso di OASIS e l’eredità miliardaria di Halliday. Ma Wade non è il solo che aspira a vincere il gioco: la multinazionale IOI, guidata da Nolan Sorrento, impiega un gruppo di giocatori per risalire al tesoro prima che lo facciano Wade o altri contendenti, allo scopo di prendere il controllo di OASIS.

Ready Player One

Perfetto padrone del linguaggio cinematografico tecnico e elargitore di avventure diventate leggendarie, Steven Spielberg era l’unico regista che potesse ambire, con buone possibilità di successo, a portare al cinema un romanzo così amato e rappresentativo come quello di Cline. Il risultato è, ovviamente, incredibile. Ready Player One strizza l’occhio ai fan, compiacendoli con le citazioni e i riferimenti pop, ma non rinuncia alla sua anima che, in fondo, non ha un sapore tanto distante da quella de I Goonies, nonostante la caccia al tesoro sia così diversa (la prima ambientata nei sotterranei di Astoria, Oregon, la seconda nell’etere di OASIS).

Ready Player One, recensione del film di Steven Spielberg

Spielberg mostra la differenza che c’è tra lui, animo avventuriero inventore di storie, e i suoi fan accademici: se il regista si perde nell’avventura, pur avendone il perfetto controllo formale e tecnico, il fan medio vorrà cogliere ogni dettaglio, ogni citazione, vorrà scuoiare la bellissima creatura del regista per vivisezionarla e elencare, come in una scientifica analisi razionale, tutti i personaggi e le citazioni del film. Nessuna operazione può essere più fredda e fine a se stessa.

Steven Spielberg spinge lo spettatore a tuffarsi nella storia

Steven Spielberg, ancora una volta, spinge lo spettatore a tuffarsi nella storia, a occhi ben spalancati, non per scorgere la DeLorean o le Tartarughe Ninja, ma per farsi investire dalla passione per il racconto, per accogliere un messaggio, per sognare.

Il protagonista, da solitario cercatore di tesori che non si associa con nessuno, riesce a passare a una considerazione più inclusiva della realtà, fa il “salto” di qualità (la scelta di parole non è casuale) e comincia a sentire l’appartenenza a un gruppo che la società gli aveva negato ma che la sua avventura e la sua predisposizione umana gli hanno regalato.

In Ready Player One, Wade è pronto ad accogliere questa umanità, l’unico vero filo che unisce tutti i film di Steven Spielberg, da Incontri ravvicinati del terzo tipo a Salvate il Soldato Ryan, passando per Indiana Jones e Schindler’s List. È lo stesso regista a dire che quella cultura pop, che lui stesso ha contribuito a costruire negli anni ’80 e ’90, è solo uno strumento “virtuale”; lui stesso mette in guardia lo spettatore contro la sterile conoscenza maniacale di tale cultura, lui a scoraggiare la materialistica accumulazione compulsiva di gadget, cimeli, t-shirt. La corsa all’oggetto raro, che sia l’Easter Egg della storia o la limited edition della riproduzione della fedora del Professor Jones, diventa una futile ansia di possesso che spesso allontana dal sentire davvero l’avventura e le connessione che Steven ha sempre raccontato nei suoi film.

Ready Player One

Così, armato di una storia potente e degli strumenti per stimolare l’attenzione del pubblico, Spielberg diventa J. D. Halliday e lancia la sua “quest eroica”, trasforma tutti gli spettatori in Egg Hunter (i cacciatori dell’uovo nascosto, in OASIS) e li accompagna in milioni di mondi virtuali. Quanti saranno in grado di capire che l’oasi creata da Halliday/Spielberg è un’espediente che deve aiutare a sopportare la realtà senza sostituirla?

non un omaggio ma un vero e proprio film degli anni ’80

Con Ready Player One, Steven Spielberg non realizza un omaggio agli anni ’80 ma un vero e proprio film degli anni ’80, che cede alla modernità nel ritmo e negli effetti, ma che racconta esattamente la stessa storia vista in tanti altri classici per ragazzi, svelando il vero cuore del suo cinema. Il regista di Cincinnati sembra così chiudere i conti con l’infanzia, scegliendo consapevolmente la realtà e invitando gli spettatori a fare lo stesso.

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Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
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