Riabbracciare Parigi: recensione del film di Alice Winocour

Il film con Virginie Efira è un dramma per le strade di una Parigi tra la minaccia terroristica e la voglia di rinascere e riscoprirsi.

Riabbracciare Parigi (2023)

A tre anni di distanza da Proxima, Alice Winocour torna nei cinema con Riabbracciare Parigi, un nuovo ritratto di donna, quello di Mia, vittima di un attentato terroristico, che si aggira per Parigi come un fantasma, alla ricerca di una memoria sepolta e insondabile. Un vero e proprio film di fantasmi, quanto un pellegrinaggio interiore verso la luce. Scritto in collaborazione con il documentarista Jean-Stéphane Bron, Riabbracciare Parigi, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs 2022, si basa sull’esperienza del fratello della regista, presente al Bataclan la sera del 13 novembre 2015. Il film arriva nelle sale italiane dal 9 novembre, distribuito da Movies Inspired.

 

Riabbracciare Parigi, la trama

L’attacco terroristico raccontato dal film avviene in una grande brasserie parigina dove Mia (Virginie Efira) è approdata per caso in attesa di un temporale. Tre mesi dopo la tragedia, la sua memoria è un buco nero. All’inizio esitante, si impegna a dissipare l’opacità del trauma. Poi, quando i primi fantasmi e flash le tornano in mente, deve ricomporre un macabro puzzle di sensazioni e suoni. Questa traduttrice professionista è costretta a interpretare i segnali del suo caos mentale.

Attraverso un’associazione di vittime che ogni lunedì organizza visite alla birreria per i sopravvissuti e i parenti dei morti, Mia confronta i propri ricordi frammentati con i punti di vista altrettanto sconnessi delle altre persone presenti quella sera. Il confronto è a volte violento: accecati dalla loro sofferenza, alcuni di loro le impongono testimonianze che lei non può o non vuole accettare. Altri, come Thomas, affetto da ipermnesia e da una gamba gravemente ferita, preferirebbero aver dimenticato tutto piuttosto che essere legati alla sua memoria. Félicia, invece, cerca disperatamente di afferrare un briciolo dell’ultimo respiro dei suoi genitori, esalato nel bel mezzo della cena. Di cosa stavano parlando poco prima di morire?

Riabbracciare Parigi, una scena del film

(Ri)scoprire una città e il proprio cuore

Per Mia, rivedere Parigi significa anche cambiare obiettivo, fare un bilancio della vita che conduceva prima. Concentrandosi sull’ossessione di ritrovare l’uomo che le ha tenuto la mano la notte della tragedia, Alice Winocour mostra l’importanza cruciale della collettività nella ricostruzione: la necessità per le vittime di riunirsi, per condividere il trauma e alleggerire il carico, ma anche, e soprattutto, per assicurarsi che lo sconosciuto di cui hanno incontrato lo sguardo terrorizzato sia sopravvissuto. Il movimento del film Riabbracciare Parigi, prima centrato su Mia, poi sempre più corale, abbraccia questo ritorno salvifico verso gli altri.

Rivisitare Parigi, ritrovarla, rivederla, ma anche ricordarla: sono queste le premesse del quarto lungometraggio di Alice Winocour, che si presenta come una testimonianza, un tributo e un’opera catartica per tutti coloro che hanno vissuto l’orrore e l’indicibile. La regista è attenta a non porre alcun segno temporale: vuole toccare una sorta di universalità nel dolore e nella ricostruzione, ed è attraverso il personaggio di Mia, una traduttrice russa per la radio francese, che riuscirà a raggiungere questo obiettivo.

Mia, un fantasma parigino

Mia attraversa la capitale con la sua moto, come un fantasma che emerge nell’oscurità della notte, lottando per sopravvivere. Tutto sembra diventare un simulacro in cui lei non è altro che un’apparizione, una figura fantasma di cui nessuno si accorge, un morto vivente che si evolve in questo inenarrabile mezzo, al confine con l’aldilà. Virginie Efira si dimostra ancora una volta magnifica, confermando il suo immenso talento nel muoversi tra diversi registri e trascinando lo spettatore in un unico flusso di coscienza, il tutto magistralmente orchestrato da Anna von Hausswolff, la cui colonna sonora serve solo a sublimare il viaggio di Mia verso la luce.

Alice Winocour prende come punto di partenza di Riabbracciare Parigi un attentato in una brasserie e racconta la complessa ricostruzione dei sopravvissuti attraverso gli occhi di due di loro. Mia, che ha perso la memoria di quella sera al punto da credere alla donna che la accusa di essersi chiusa nei bagni, impedendo agli altri di entrare e proteggendosi dai terroristi, e Thomas (Benoît Magimal), che ricorda tutto ma continua a soffrire nel suo corpo a distanza di mesi. Winocour (ri)dà voce e corpo a traumi che sono diventati molto di più – un fatto sociale, una questione politica – in un’opera tanto straziante quanto dignitosa e potentemente organica (notevole il lavoro sul suono), in cui la finzione incontra la società, raccontando l’amore tra i due sopravvissuti come filo rosso della loro resilienza.

Riabbracciare Parigi

Un caos disincantato

Con Maryland e Proxima, un thriller e un dramma sullo sfondo dell’esplorazione spaziale, la regista aveva raccontato mondi molto lontani dal mainstream della produzione francese. Nella sua nuova fatica ritroviamo questa sensazione di sradicamento disincantato. A tratti naturalistico, a tratti estremamente stilizzato, il film si preoccupa solo di tradurre il flusso di pensieri e i sentimenti a volte caotici della sua protagonista.

Per raggiungere questo obiettivo, la regista fa riferimento di continuo alla “sua” attrice, la cui interpretazione è ancora una volta ammirevole. Tuttavia, Efira deve anche fare i conti con le debolezze di una sceneggiatura che a tratti si perde. In effetti, il personaggio di Mia conferisce una sensibilità così tenera al contesto in genere, che l’arco che la vede indagare sull’identità di una vittima, estremamente maldestro, viene rapidamente messo in ombra dalla potenza evocativa dell’insieme.

Avvicinandosi a un’eroina complessa in modo da non dimenticare nessuna delle sue sfaccettature, e abbracciando le più fragili, il film si identifica come uno specchio in frantumi, i cui frammenti non sono tutti ugualmente riflettenti. Resta il fatto che, nonostante una sottotrama dal tono un po’ paternalistico e un candore che sfiora l’ingenuità prefabbricata, il viaggio di Mia contiene abbastanza speranza irrefragabile da tenerci, se non vivi, almeno sempre sul filo del rasoio.

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