Rotting in the Sun: recensione della dark-comedy di Sebastián Silva

Il regista cileno presenta al pubblico una nuova satira pungente con grandi interpretazioni.

Il nuovo film del regista cileno Sebastián Silva, Rotting in the Sun, approda su MUBI dopo la presentazione in anteprima al Sundance Film Festival 2023. Unendo la predilezione di Silva per l’impianto da dark-comedy a una meta-fiction che oppone il ruolo del regista oggigiorno nel settore audiovisivo, al palcoscenico che gli influencer si sono ritagliati, Rotting in the Sun imbastisce una riflessione provocatoria sulla morte dell’arte e il trasferimento semantico del termine “intellettuale” nel 21° secolo.

 

Rotting in the Sun, la trama: marcire nel silenzio, mostrarsi sempre

Sebastián Silva è depresso. Quando non dorme, il regista assume quantità assurde di ketamina e cerca su Internet metodi di suicidio indolori. Nel tentativo di farlo uscire da questa situazione, il suo manager lo manda in vacanza su una spiaggia gay per nudisti. Lì, per poco non muore nel tentativo di salvare dall’annegamento l’influencer e star dei social media Jordan Firstman. L’esagitato Jordan vuole che Sebastián lavori assieme a lui a un nuovo progetto seriale che ha ideato, ma Sebastián si oppone finché un network non mostra interesse. Quando Jordan arriva nello studio di Sebastián a Città del Messico per mettersi al lavoro, ma non lo trova da nessuna parte, inizia a sospettare che la governante, Vero (Catalina Saavedra), sappia più di quanto non voglia far credere.

Una scena di Rotting in the Sun

Regista, è ora di morire

La compenetrazione quasi totale con cui personaggi e autori dialogano dentro e fuori lo schermo garantisce a Rotting in the Sun un apparato incredbilmente verosimile da cui delineare una storia ai limiti dell’assurdo – che nell’epoca attuale, in cui si crede a ogni immagine e non si ascolta nessuna parola è, paradossalmente, credibilissima! Silva, habitué del Sundance Film Festival, dove è stato anche premiato in più occasioni con Affetti & dispetti (La nana) nel 2009 e Crystal Fairy nel 2013, continua a mostrarsi nel suo spirito più temerario, presentando al Festival indipendente satire inquietanti e al limite del morboso, in cui un insistito voyeurismo permette un’analisi senza compromessi dei nostri ruoli nella società, con particolare attenzione alla comunità gay.

Jordan e Sebastian incarnano due uomini e artisti agli antipodi, la cui sessualità è influenzata dalla posizione che occupano nel mondo: aperto, libertino, senza alcun tentennamento il primo, più riservato, per nulla esplosivo e molto intimista il secondo. Jordan occupa un piedistallo riconoscibilissimo e riconosciuto da tutti gli uomini che incontra, proprio per la sua attitudine e per un’attenzione all’esteriorità che lo rende vincente, tuttavia, agli occhi di Sebastian, non ha una propria impronta, è un misero imitatore che incita gli altri a credere in lui per rafforzare il mito dell’egocentrismo tanto rincorso dai social media. D’altra parte, la scuola di Sebastian è stata la gavetta ed è, nel presente, la difficoltà di ottenere un riconoscimento, di convincere con le proprie proposte, laddove a Jordan – il cui biglietto da visita è il numero dei followers – tutto è concesso. Non servono idee, ma ideali, non condivisione ma visibilità: non si crea valore per gli altri, al massimo si potenzia la stima di ciò che vendiamo.

Il primo uomo del domani

In questo scenario apocalittico per un’artista dall’indole novecentesca, forse l’unica via d’uscita è il suicidio che, Sebastiàn ci tiene a ribadire, è una nobilissima scelta effettuata dagli ottimisti che perdono la loro luce. Ma il regista cileno viaggia troppo indietro rispetto ai tempi, e non ha capito che gli è stata tolta perfino la scelta di come morire. C’é un nuovo primo uomo – ironicamente, il vero cognome di Jordan, Firstman, ha attinenza totale con il ruolo del suo personaggio nel film – pronto all’allunaggio, a piantare la bandiera dell’annullamento di personalità e del consenso di massa assoluto su un pianeta virtuale. Non c’è più spazio per la cinepresa di Sebastiàn, così incalzante e troppo ravvicinata ai suoi personaggi, perché cattura una verità che le piattaforme non accolgono: è ora di buttarla giù dal tetto, di non farsi scrutare troppo, di favorire il contigente senza lasciare traccia.

Questo suo nuovo film potrà anche mostrarci quanto marce siano le nostre maschere, ma il cinema di Sebastiàn Silva è più che vivo che mai. Il regista cileno ha messo a punto un approccio al racconto audiovisivo ormai più che riconoscbile, imprudente, a tratti forse avventato, e di certo non per tutti. Una connotazione che sicuramente lo allontana dalle grandi platee, ma che lo farà viaggiare a oltranza nel territorio dell’indipendente, dove può sprigionare al massimo la sua forza creativa.

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