Snake Eyes: G.I. Joe – Le origini, per la regia di Robert Schwentke, approda nelle sale italiane a partire dal 21 luglio 2021. Il film è stato concepito come reboot della saga G.I. Joe e anche come storia all’origine della rivalità tra due celebri personaggi targati Hasbro; dunque la narrazione procede nei primi anni della rivalità tra i G. I. Joe e l’organizzazione criminale Cobra. Particolare attenzione è riservata appunto al protagonista della pellicola, Snake Eyes, interpretato da Henry Golding. L’arcinemico Storm Shadow è interpretato da Andrew Koji. In aggiunta il cast conta della partecipazione di Iko Uwais, Ursula Corbero e Samara Weaving. Premesse interessanti non aprono la strada ad una sceneggiatura altrettanto avvincente; ne conseguono poche intuizioni ben delineate e punti salienti del film concentrati unicamente nelle scene d’azione.

 

Snake Eyes – G. I. Joe Le Origini: la trama

Ambientato principalmente in Giappone, il film inizia in modo piuttosto traballante con il giovane eroe che assiste all’uccisione di suo padre, vicenda che fornisce una ragione per il suo soprannome. Successivamente lo ritroviamo cresciuto e viene reclutato per il contrabbando di armi, incontrando Thomas “Tommy” Arashikage (Andrew Koji), al quale salverà la vita. Tommy invita Snake Eyes nella loro cerchia ristretta di clan giapponese, senza mai sospettare che il suo nuovo amico stia effettivamente lavorando per la Yakuza, che vuole che rubi un gioiello con poteri magici che l’Arashikage sta invece proteggendo. In cambio, Kenta promette di trovare il sicario che ha ucciso il padre di Snake Eyes. Nel mentre alza la testa anche l’organizzazione terroristica Cobra, in particolare la sua temibile Baronessa (Ursula Corberò, la Tokyo de La Casa di Carta)

Snake Eyes si propone di ampliare lo sguardo dello spettatore indagando più approfonditamente l’universo dei G. I. Joe, introducendo anche altri personaggi del franchise. Le correlazioni tra questi e le vicissitudini a cui andranno incontro risultano tuttavia piuttosto forzate e il cliffhanger conclusivo non investe il prodotto della carica drammaturgica auspicata.

Snake Eyes: G.I. Joe - Le origini
Henry Golding – from Paramount Pictures, Metro-Goldwyn-Mayer Pictures and Skydance. – Photo Credit: Ed Araquel

Molti dialoghi in Snake Eyes: G.I. Joe Origins gonfiano una storia contorta di personaggi stilizzati che vagano per luoghi esotici – i vicoli illuminati al neon di Shinjuku, il flessuoso cortile pieno di fiori di ciliegio di un forte ninja – e parlano a lungo del tradimento e/o di testarsi a vicenda. Tutti hanno una risposta laboriosa e sfacciata alle domande degli altri; Inoltre, non c’è molta chimica tra i protagonisti del film, in parte perché non sembrano condividere lo schermo per poco più che qualche secondo.

Sfruttata decisamente male, è la presenza nel cast del migliore martial artist indonesiano, ovvero Iko Uwais nei panni di Hard Master, e allo stesso modo Peter Mensah. Altri ruoli di poco spicco a fronte di talento potenziale di prim’ordine sono quelli di Scarlet (Samara Weaving) e della Baronessa. Il cast si rivela complessivamente troppo ricco per una storia realmente piuttosto limitata, senza sottotrame o sbocchi narrativi di rilievo.

Snake Eyes: personaggi deboli e narrazione vacillante

La narrazione di Snake Eyes è appunto incentrata su uno dei personaggi più celebri dell’universo G.I. Joe, che si mobilita nuovamente dopo il fermo dal 2013. Henry Golding non riesce interamente nell’intento di rilanciare una saga cinematografica che già aveva mostrato qualche disequilibrio e il suo eroe tenebroso non riesce a convincere quanto dovrebbe. Snake Eyes punta a configurarsi come primo capitolo di un nuovo franchise, come suggerito soprattutto dal finale aperto, eppure non riesce a sfruttare appieno le molteplici potenzialità di un cast d’eccezione, che avrebbe potuto condurre le redini dell’intera narrazione. Combattimenti serrati, arti marziali e katana sono indubbiamente di effetto, ma non sufficienti ad elevare l’intero prodotto filmico.

Nella mitologia dei G. I. Joe, Snake Eyes è un ninja muto il cui volto è perennemente celato da una maschera nera, tratto distintivo che ne aumenta l’aura di mistero e glacialità. Parte del fascino del personaggio risiedeva di conseguenza nel suo retroscena ambiguo: gran parte del passato di Snake Eyes è oscurato nei suoi file, anche se è implicito che abbia avuto un vasto addestramento militare prima di unirsi ai Joe.  Il proposito del film sarebbe quello di spiegare quindi l’evoluzione del personaggio, tuttavia il regista Robert Schwentke non confeziona un prodotto memorabile, senza vere minacce o conflitti ad ostacolare il percorso dei personaggi, che appare un po’ troppo pericoloso di quanto in realtà non sia. La violenza appena suggerita rende Snake Eyes un prodotto piuttosto anonimo, che appesantisce la vicenda del protagonista con un retroscena debole e più tragico del dovuto, senza conferire incisività o intensità al suo arco di sviluppo.

Snake Eyes: G.I. Joe - Le origini film recensione
Úrsula Corberó- La Baronessa from Paramount Pictures, Metro-Goldwyn-Mayer Pictures and Skydance. -Photo Credit: Ed Araquel

Henry Golding non riesce a infondere molta presenza scenica o carisma all’aspirante guerriero; una volta che Snake Eyes di unisce all’Arashikage deve portare a termine tre test per dimostrare la sua integrità e possenza come guerriero, ma queste sfide non convogliano suspense né azione; vorrebbero insegnare al personaggio preziose lezioni di vita, che in realtà è difficile identificare e portare via con sé dopo la visione.

Snake Eyes avrebbe potuto giocare di più in termini di rifinitura visiva, specificità del personaggio e creazione di una narrazione un po’ meno convenzionale, per non finire a vacillare come un film d’azione. Neppure la messa in scena risulta impressionante e l’unico fulcro di attenzione dello spettatore diviene il lavoro acrobatico, i copiosi combattimenti e gli inseguimenti periodici, pur non brillando di guizzi registici. Nel complesso, Snake Eyes – G. I. Joe Le Origini si configura come un discreto prodotto di intrattenimento, che riesce a soddisfare i fan, senza tuttavia grossi guizzi registici o sceneggiativi.

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