Preceduto da una produzione burrascosa, Solo: A Star Wars Story è stato presentato al mondo nella cornice di Cannes 2018, fuori competizione. Sulla croisette hanno sfilato tutti i protagonisti, dal Alden Ehrenreich, interprete del giovane Solo, a Emilia Clarke e Woody Harrelson, personaggi nuovi, introdotti in questo film nella saga, che hanno contribuito in maniera decisiva a formare il carattere del contrabbandiere più amato della galassia. Sul tappeto rosso del festival c’era anche Ron Howard, il regista, che è entrato in corsa nel progetto, dopo il licenziamento di Phil Lord e Chris Miller, a oltre metà della produzione.
Questa vicenda è stata senza dubbio fondamentale nello sviluppo del film, che mostra, disarmato, tutte le sue debolezze, senza neanche riprovarci a tenersi in piedi. La storia racconta di Han, un ragazzo che vive di espedienti, e che a seguito di un “affare” andato male, si trova a dover affrontare la fuga e decide di arruolarsi nell’Esercito dell’Impero.

I personaggi di Emilia Clarke e di Woody Harrelson, l’interesse amoroso e il mentore, si intrecciano a quello di Ehrenreich, costruendo delle dinamiche che formano l’indole del personaggio, la stessa indole che accompagnerà l’approccio al futuro (già raccontato) del personaggio.

Insomma, fino a questo punto il film sembra presentare ogni elemento di cui necessita per essere un successo, tuttavia un buon film non è fatto solo di una somma di elementi, c’è anche la cifra discrezionale del cuore, quella irrazionale, che in Solo: A Star Wars Story latita clamorosamente.

Solo: A Star Wars Story non corre nessun rischio e quindi non raggiunge nessun risultato notevole, si rivela pavido, senza emulare l’indole del personaggio che sta raccontando. Senza l’anima di Rogue One, senza il coraggio de Gli Ultimi Jedi, Solo è il film minore di una grande saga, che potrebbe avere ancora qualcosa da raccontare, ammesso che ci sia la predisposizione a rischiare.
