Sweet country, un western lentissimo, con tutti i canoni di questo genere, ma trasportato nella terra dei canguri. Una vicenda di razzismo, intolleranza e ignoranza, non troppo distante in fondo da quello che succede ai nostri giorni.
Sweet country, la trama
Nel 1929, in una regione brulla e inospitale del nord dell’Australia, i nativi aborigeni vengono sfruttati e impiegati per lavori umili e massacranti a supporto dei coloni bianchi, degli stolti bifolchi che vivono di bestiame. Uno di questi aborigeni, Sam, uccide per difesa della propria famiglia un proprietario terriero bianco, Harry March. Si trova così costretto a fuggire insieme alla moglie Lizzie. Ma dopo un lungo periodo di latitanza scopre che la donna aspetta un bambino, in conseguenza dello stupro subito dall’uomo da lui ucciso. Per proteggerla si consegna alla giustizia, affrontando un lungo processo affidato al giudice Taylor.
Warwick Thornton
il regista, spiega che il film non è frutto di fantasia: “Il
film è basato su una vera storia, raccontatami dallo scrittore
David Tranter, dell’aborigeno Wilaberta Jack, che negli anni venti
fu arrestato e processato per l’omicidio di un uomo bianco nella
Central Australia. Wilaberta Jack è Sam, diventato un personaggio
indipendente, con una sua storia. Se Sam è il cardine della trama
su cui tutto ruota, la vicenda riguarda anche Philomac, giovane
aborigeno di quattordici anni, che vive in una fattoria e sta per
diventare adulto, mentre si ritrova coinvolto nella rivoluzione
sociale e nel conflitto culturale della vita di frontiera nella
Central Australia degli anni venti.”
Sweet Country girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad Alice Springs è un western tipico, caratterizzato da tutti quegli elementi che rendono riconoscibile il genere: la terra di frontiera, la sopraffazione delle popolazioni indigene locali, l’arroganza e la sfrontatezza dei colonizzatori, i panorami mozzafiato che caratterizzano una terra bellissima quanto ostile, il continuo confronto con la natura.
E il regista afferma di
aver voluto costruire proprio un western per cercare di avvicinare
di più il pubblico alla storia e ai contenuti che voleva
sottolineare, creando una sorta di favola per descrivere
l’oppressione e la sopraffazione di un popolo.
Sweet Country purtroppo non presenta nulla di originale, ha dei tempi estremamente dilatati e non riesce mai a coinvolgere completamente, avanza in maniera stanca verso il processo finale, raccontando fatti ormai già visti e abusati nel cinema. Non basta sapere che si tratta di una storia vera, per quanto ingiusta e tragica possa essere, per mantenere alta l’attenzione.