Uscito lo scorso 25
gennaio, presentato alla sessantaquattresima edizione del Berlinale
(2014) e proiettato al WA! Japan Film Festival di Firenze poche
settimane fa, The Little House
(Chiisai Ouchi) conclude splendidamente,
all’ottantaduesimo film, la carriera del regista e sceneggiatore
giapponese Yōji Yamada (The Twilight
Samurai), erede di Yasujirō Ozu.
Tratto da un romanzo di Koko Nakajima (vincitore
del premio Naoki), racconta la storia di una famiglia
attraverso gli occhi della propria cameriera: Taki (interpretata da
Haru Kuroki da giovane, premio per la miglior
interpretazione, e da Chieko Baisho da
anziana), è una timida, innocente e devota cameriera presso la
famiglia Hirai di Tokyo, famiglia costituita da Masaki
(Takatarô Kataoka), capofamiglia e impiegato in
una fabbrica di giocattoli, sua moglie Tokiko (Takako
Matsu), che riesce bene a personificare i tormenti
interiori ma superficiali di una donna annoiata alla società
benestante del tempo, e suo figlio Ryoichi. Con l’avanzare degli
anni, Taki decide di mettere per iscritto le proprie memorie, e
molti anni più tardi, dopo la morte della stessa, il nipote,
Takeshi (Satoshi Tsumabuki), ritroverà i quaderni,
tramite i quali riuscirà a ricostruire il passato della zia. Così
scopre anche storie nascoste e segreti di famiglia.
Tutte le storie
presentate nel film sono in un certo senso filtrate dal ricordo, e
vengono raccontate da diversi punti di vista, facendo così
convivere passato, presente e futuro. Yamada racconta le vicende
sentimentali dei personaggi con delicatezza e tramite piccoli
gesti, riuscendo a leggere nell’animo femminile ma senza la
supponenza che spesso hanno nei suoi confronti coloro che non
appartengono al gentil sesso; per quanto riguarda la storia della
nazione, invece, Yamada parla di un’epoca che non c’è più, forse
metafora anche di un cinema che non vedremo più, poiché The Little
House come già detto conclude la carriera del regista e di un certo
tipo di cinema, e forse è proprio per questo che fin dalla prima
scena il film è pervaso da un senso di perdita che accompagna ogni
tipo di morte, anche quella di un mondo che non c’è più, raccontato
esclusivamente dai diari, artefatti volti a non far dimenticare un
passato un tempo presente. Di questo film insomma non si può che
parlar bene, in quanto riesce ad imprimere sulla pellicola tutto
ciò che c’è di più straordinario nella vita, nonostante la
quotidianità e la semplicità. Rimarranno sicuramente tutte le
emozioni, perché con questo film il regista riesce a dare valore al
passato e ai ricordi, facendoci viaggiare tramite il singolo e
contemporaneamente tramite la collettività, il tutto impreziosito
dalla colonna sonora di Joe Hisaishi e dalle
performance delle due attrici Takako Matsu e Haru Kuroki.