The Visit recensione del film di Michael Madsen

Proviamo ad immaginare che il tanto agognato sogno di un incontro diretto con una civiltà extraterrestre sia divenuto realtà e che gli alieni siano finalmente venuti per incontrarci. Che cosa comporterebbe tutto ciò? Quale sarebbe la reazione dell’opinione pubblica? Che tipo di quesiti verrebbero posti loro da parte dei nostri governati ed esperti? Quali sarebbero le implicazioni etiche e spirituali? Infine, come appariremmo noi esseri umani agli occhi di questi visitatori astrali? Questi ed altri quesiti di natura più profonda e metafisica stanno alla base di The Visit, il nuovo sorprendente quanto inclassificabile lavoro del danese Michael Madsen che, a metà strada fra un docu-fiction e un mokumentary, mette in piedi uno straordinario esperimento di simulazione filmica, provando a concretizzare un evento (per ora) non ancora accaduto servendosi delle opinioni di coloro che, in qualità di esperti appartenenti ai diversi campi dello scibile, verrebbero interpellati qualora ciò si verificasse.

 

The VisitScegliendo volutamente di prendere le distanze dalle atmosfere pacifiste e consolatorie di Incontri ravvicinati ed evitando come la peste lo stereotipo degli intenti ostili e apocalittici al sapore di blockbuster di Indipendence Day e Signs, il prodotto ibrido di Medsen sceglie di non mostrare mai il presunto visitatore, lasciandolo dunque ignoto così come il luogo della sua venuta. Ciò che interessa sono le reazioni di coloro che sono chiamati a fare da tramite fra le entità e il resto della razza umana, attraverso un eccellente dispositivo di interviste incrociate che fa uso di un inquietante sguardo in macchina, retaggio di Errol Morris, dove pare che l’intervistatore umano non si rivolga tanto ad un interlocutore alieno, quanto più allo spettatore, attraverso un destabilizzante processo autoriflessivo. Siamo forse noi i veri alieni? Siamo noi gli extra-terrestri di casa nostra? Seppure l’impiego degli autorevoli interventi, uniti ad una sorta di realismo-magico (più felliniano che kubrickiano) usato per interpretare simbolicamente il contatto allontani la pellicola dagli scenari telegiornalistici di District 9, Medsen sembra non aver saputo trovare una forma adatta ad un tale ambizioso lavoro, lasciandosi andare ad oltre un’ora e mezza di colloqui pseudo-obbiettivi con esperti del SETI e delle principali enti governative che dissertono in maniera troppo prolissa di etica, cosmologia e persino di un’improbabile legislatura spaziale. Se in Into Eternity Madsen era riuscito a concentrare ottimamente in 75 minuti una pungente parabola futuristica sul deterioramento radioattivo, qui, mentre le lancette avanzano lente e inesorabili, i fluidi e atoreferenziali movimenti in steadycam e le tediose inquadrature in rallenty appaiono solo come un tentativo di dare una confezione pretenziosa ad un lavoro ricco di spunti mal tradotti. La presenza infine di una sequenza sulle retoriche note del valzer di Strauss (Kubrick osserva sconsolato!) la dice davvero lunga!

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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