Time Out of Mind: recensione del film con Richard Gere

Richard Gere ha presentato al Festival di Roma 2014 Time Out of Mind, film interpretato e prodotto dal divo hollywoodiano che per l’occasione ha vestito i panni di un senzatetto. Il suo personaggio si chiama George, non ha una casa né un lavoro e cerca in tutti i modi di ricostruire un rapporto con sua figlia, unica componente di una famiglia in frantumi. Seguendo George per le strade di New York, scopriamo con lui e attraverso i suoi occhi un mondo di sommersi, di sconfitti, di persone abbandonate a se stesse e alle proprie paure.

 

La scelta del regista Oren Moverman è quella di raccontare una storia nei panni di un osservatore lontano, che, attraverso vetri, finestre, osserva incuriosito ma anche un po’ spaventato quello che accade a quest’uomo e a quelli come lui che hanno perso tutto. Il principale pregio del film è proprio lo stile da osservatore che adotta Moverman, insieme all’utilizzo del suono, quello della città. Non c’è spazio per colonne sonore artefatte, né per commenti irreali, ma solo la volontà di far sentire una città che vive indifferente intorno a persone che si trascinano da un rifugio all’altro.

Time Out of Mind è anche un’indagine sulla condizione degli homeless nella City, una condizione sempre più invisibile agli occhi dei cittadini ‘normali’ e sempre più difficile da sostenere per chi cerca di arginarla. Richard Gere offre una performance interessante, molto misurata, raccontandoci un uomo che in realtà non dice molto di sé, ma che prova tutta la difficoltà non tanto nella condizione stessa ma nell’ammettere la problematicità e l’esistenza stessa di una tale situazione.

Al 50% accomunabile ad un documentario,Time Out of Mind è un film che mostra la realtà invisibile di una città piena di contraddizioni che troppo spesso viene idealizzata per il suo fascino ma quasi mai viene messa sotto una lente d’ingrandimento per scovarne le ferite.

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