To Catch a Killer, la recensione del film con Shailene Woodley

Il nuovo film del regista argentino è una cupa opera di genere capace di portare avanti un commento sociale particolarmente attuale e urgente.

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Ha trovato una distribuzione irrisoria qui a New York il nuovo film dell’argentino Damiàn Szifron, quello che qualche anno addietro aveva sorpreso il pubblico internazionale con il surreale e corrosivo Wild Tale. Un solo spettacolo al giorno in un multiplex vicino Times Square. Dopo essere andati a vederlo non è stato affatto difficile comprendere il motivo per cui To Catch a Killer abbia ottenuto talmente poca pubblicità e considerazione dall’industria cinematografica americana. Non soltanto si tratta di un thriller sulla caccia a un “mass shooter”, figura purtroppo oggi più che mai attuale negli Stati Uniti; nello sviluppare la trama la sceneggiatura scritta dallo stesso Szifron insieme a Jonathan Wakeham illustra anche con pienezza l’idea come una mente deviata possa essere anche il frutto di una società sempre più alienante.

 

Fortemente voluto dalla protagonista e produttrice Shailene Woodley, il film vede la giovane e problematica poliziotta Eleanor Falco trovarsi nel bel mezzo di un massacro compiuto da un assassino appostato col suo fucile di precisione in un palazzo di Baltimora. A condurre le indagini e la caccia all’uomo viene messo il detective dell’FBI Geoffrey Lammark (Ben Mendelsohn), il quale sceglie di far entrare in squadra Eleanor nonostante i suoi evidenti problemi. Insieme la coppia inizia un’indagine che la porterà a testare i propri limiti fisici ma soprattutto psicologici.

To Catch a Killer è un’opera con commento sociale dietro la confezione di genere

L’impianto narrativo e l’idea di messa in scena di To Catch a Killer rispondono pienamente agli stilemi del cinema di genere. La rappresentazione della metropoli innevata e malinconica rimanda nella propria, interna coerenza estetica ad altre ambientazioni molto apprezzate dagli appassionati di cinema mainstream. Abbiamo infatti pensato alle strade piovose e anonime di Se7en di David Fincher, e insieme anche ai viali eleganti ma anche spaventosi de Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Ma sia chiaro fin da subito, quello di Szifron non è assolutamente un lungometraggio derivativo: semplicemente sa adoperare i mezzi che ha a disposizione per immergere lo spettatore in un universo filmico che sa restituire con potenza la forza emotiva di storia e personaggi.

E qui entra poi in gioco la volontà precisa di introdurre un commento sociale dietro la confezione di genere: nel seguire le tracce che dovranno portare alla cattura dell’assassino i due protagonisti si trovano a indagare le pieghe nascoste di un sistema che fabbrica mostri, in ogni strato sociale che attraversa. Lammark e Falco in un percorso a tappe organizzato in maniera sorprendente si trovano faccia a faccia con una verità quanto mai sconcertante: l’uomo che stanno cercando non rappresenta una “deviazione” quanto piuttosto una cellula incancrenita dentro un organismo malato.

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Un’opera violenta, specchio del nostro presente

Senza voler raccontare troppo per evitare spoiler non necessari, possiamo comunque affermare che To Catch a Killer si prende con enorme coraggio grossi rischi a livello sia estetico che contenutistico: la violenza messa in scena da Szifron è brutale, lontana dalla spettacolarizzazione del genere. La progressione delle indagini viene spesso rallentata da figure che rappresentano metaforicamente quanto sia marcio il sistema americano: agenti che fanno politica molto più di quanto non tengano a catturare il colpevole; l’estremismo conservatore che approfitta della tragedia per spargere terrore; un discorso chiaro e radicale sull’istituzione del self-made man e del suo diritto alla propria autodifesa.

To Catch a Killer propone tutto questo e insieme riflette in maniera estremamente forte su quanto mette in scena. Il risultato è tanto appassionante a livello di fruizione spettacolare quanto doloroso nel momento in cui si comincia a ragionarci sopra. Non stiamo parlando di un film perfetto, tutt’altro: alcune ovvietà nella trama e qualche backstory non del tutto necessaria portano con sé una certa dose di retorica. Difetti che comunque scalfiscono soltanto in minima parte la potenza di un thriller nichilista, quasi livido nell’esposizione. Non sembra essere arrivato al momento giusto, To Catch a Killer. E questo lo rende probabilmente un oggetto cinematografico ancor piú affascinante e complesso da metabolizzare. Quando il cinema di genere diventa lo specchio deformante (e deformato) del nostro presente, non è mai facile da accettare…

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Adriano Ercolani
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to-catch-a-killer-shailene-woodleyIl nuovo lungometraggio di Damián Szifron, To Catch a Killer, si afferma come una solida opera di genere, che sa trarre il meglio dai suoi simili più mainstream senza però risultare derivativa. La forza del film la si può infatti ritrovare poi nel suo coraggio di non risparmiare allo spettatore violenza e degrado, offrendosi al contrario come un lucido e difficile da digerire specchio del nostro presente.