Venezia 71: Sivas recensione del film di Kaan Müjdeci

UAmbientato in un villaggio nell’Anatolia, Sivas racconta la storia di un ragazzino di undici anni, Aslan, e di un cane da combattimento, Sivas, che il bambino cura dopo che questo è stato ferito in una delle battaglie che ha perso. Tra loro si sviluppa un legame d’amicizia molto forte. Parallelamente, Aslan è impegnato a scuola in una rappresentazione di Biancaneve e i Sette Nani in cui però vorrebbe essere il principe azzurro per conquistare il cuore di una bambina, Ayse, che interpreta Biancaneve. Suo rivale in amore è Osman, figlio del capo del villaggio. Aslan cercherà di sfruttare Sivas per impressionare la bambina, e intanto il cane comincerà di nuovo a combattere e a vincere una duello dopo l’altro.

 

Il film di Kaan Müjdeci, presentato in concorso al Festival dei Venezia edizione 2014, ci racconta una storia di formazione e d’amicizia, un racconto che potrebbe definirsi il fratello ‘bastardo’ del film francese Belle e Sebastien, che ha sbancato i nostri botteghini la scorsa primavera. Fratello ‘bastardo‘ perchè, a differenza dell’altro film, Sivas è un racconto violento e sporco, in cui il bambino protagonista combatte anche con una quotidianità non felicissima e comunque violenta.

Il film fatica a decollare perdendosi per strada la contestualizzazione scolastica che poteva essere un’ottima cornice, concentrandosi sull’aspetto dei combattimenti per cani. Sbilanciando il racconto molto in avanti nel tempo, Sivas sembra cominciare ad incalzare lo spettatore troppo tardi, facendo cadere l’attenzione più volte nella parte iniziale del film e lasciando l’impressione ce si concluda troppo presto, con qualcosa di ancora non detto.

Co-protagonisti mozzafiato sono i paesaggi immensi, sconfinati degli altipiani dell’Anatolia, straordinarie lande che raramente vediamo sul grande schermo e che conservano anche nel XXI secolo un sapore antico e primordiale, dove la natura regna ancora sovrana.

- Pubblicità -