Protagonista di Volevo Nascondermi di Giorgio Diritti è Elio Germano, nel ruolo del pittore e scultore italiano Antonio Ligabue. Per questa interpretazione, Germano ha vinto l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino 2020. Il film ha inoltre ottenuto 15 candidature ai David di Donatello 2021.

 

Volevo nascondermi: la trama

Volevo Nascondermi esordisce con una serie di flashback che ci mostrano l’infanzia e la giovinezza di Ligabue, costellate da violenze, soprusi e abbandono. Vediamo in primo piano il viso del pittore oscurato da un drappo nero, da una cui fessura fa capolino l’occhio del pittore, che rivolge lo sguardo anche a noi spettatori. È un’immagine fortemente simbolica, che va a stabilire fin da subito il senso della pellicola di Diritti: indagare il mistero e la genesi dell’estro artistico e creativo del pittore, oltre l’ottenebramento dei tormenti psichici interiori. Veniamo poi a conoscenza di alcune tappe fondamentali della vita del pittore: nato in Svizzera da una famiglia italiana e successivamente dato in affidamento a diverse famiglie, la crescita del giovane pittore è ostacolata dalle continue violenze perpetrategli, ragion per cui sarà affidato a un istituto per ragazzi affetti da disagi mentali. A vent’anni viene espulso dalla Svizzera e si ritrova nella cittadina romagnola di Gualtieri, dove verrà conosciuto come “El Tudesc”. In Italia non imparerà mai del tutto la lingua e sarà cacciato dagli abitanti del paese, costretto a rifugiarsi in una baracca nel bosco, fino all’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati, che ne scoprirà l’estro e le capacità artistiche.

Un conflitto insolubile tra l’emarginato e la comunità

La filmografia di Giorgio Diritti è permeata da una visione tragica sul conflitto insolubile tra l’emarginato, il disadattato, e la comunità. Si nota una riflessione generale sulle parti più predatorie e ferine dell’animo umano, anche visto come branco, che non solo espelle chi ne ostacola gli equilibri ma punta a mettere in disparte e perfino distruggere le componenti più fragili. Non si opta per una conciliazione tra le parti, perché non è data alcuna possibilità di riscatto ai più deboli. C’è piuttosto la presa di coscienza dell’animo spietato ed egoistico che guida le azioni umane in diversi contesti.

Ligabue rimarrà un’anima fanciullesca e senza filtri, nascosta dietro la maschera del reietto e del disadattato. Dalla radicale esclusione del pittore alla vita comunitaria nasce la più totalizzante immedesimazione con l’universo animale, che trova una propria dimensione su tela: tigri inferocite, aquile che si avventano sulle prede con le ali spianate, cavalli imbizzarriti, sono i soggetti più ricorrenti dei suoi quadri. “Non sono una bestia”, dice in manicomio il pittore, cercando di ritagliarsi una dimensione esistenziale propria, sicura e incisiva, pur sapendo che solo nella libertà d’animo di questi esseri egli può identificarsi.

“Volevo nascondermi” recita il titolo del film: l’animo di Ligabue non si nasconde certo nei suoi quadri, dove emerge prepotentemente la conflittualità dell’universo e la rabbia dell’artista, ma anche la purezza ancestrale della dimensione naturale. La sublimazione della propria essenza attraverso l’arte gli conferisce una speranza tale da poter ritenersi un individuo speciale, immortale addirittura, secondo l’idea dell’opera che sorpassa l’autore, che si fissa come immanente nel futuro incerto, come dice di sé stesso al suo autista. Non riuscirà però ad essere un uomo integrato in una comunità; l’essenza del pittore non è ancorabile a una dimensione umana specifica, si presenta come anima vagante in cerca di un rifugio in cui non doversi nascondere. Incapace di esprimersi in maniera comprensibile, senza dimora, Ligabue si rispecchia veramente soltanto nell’infanzia, nel mondo apolide dei circensi, o nel provare ad essere altro da sé, figura femminile o animalesca che sia.

L’arte di Ligabue è istintiva, carica di pathos, bisogni e desideri di cui non riusciva ad appropriarsi nella vita quotidiana. Il suo processo artistico passa per l’immedesimazione totale nelle bestie che ritrae, da cui emerge una rabbia repressa per la condizione affibbiatagli di reietto, di escluso. Ligabue cerca allora di trovare una dimensione propria, di affidarsi un ruolo, un posto nel mondo: agli innumerevoli dipinti di animali, alterna autoritratti che vogliono segnalarne rumorosamente il passaggio sulla terra, che vogliono lasciare l’impronta di un’esistenza in sordina, ma che esplode prepotentemente tramite l’arte. Anche quando il suo talento sarà riconosciuto e omaggiato e gli verranno concesse mostre, Toni non riuscirà a liberarsi della condizione di diverso, escluso: il tenero amore verso Cesarina, una sua compaesana, per esempio, rimarrà solo il desiderio irrealizzabile di un’esistenza che non permette un percorso di vita canonico.

Volevo nascondermi

Elio Germano restituisce l’essenza più pura di Ligabue

Elio Germano ci regala un’interpretazione straordinaria nei panni di Toni Ligabue ed encomiabile è anche il lavoro di Lorenzo Tamburini al trucco (già vincitore di un David di Donatello per Dogman): questo diventa infatti supporto aggiuntivo, mezzo tramite cui comunicare tutta l’intensità d’animo di Ligabue, la sofferenza, il bisogno di amore di chi non vuole essere definito bestia, ma che troverà il proprio riflesso compiuto solo nelle rappresentazioni animali. Ligabue studia meticolosamente gli animali per poterli riprodurre come scorcio sulla sua anima, e solo in altre anime pure, quelle dei bambini, trova un interlocutore ideale. Ne è un esempio la disperazione totale quando muore una bambina di Gualtieri, lutto al cui il pittore risponde ritraendola e gridando disperatamente “Dove sei?” al ritratto, con una tenerezza ed umanità totalizzanti.

Un grande lavoro di messa in scena, che abbraccia il realismo degli ambienti e degli spazi, scenografie che ci fanno immergere nell’Emilia Romagna del tempo e la suggestiva colonna sonora firmata da Daniele Furlati e Massimo Biscarini, sono solo alcuni dei punti di forza del film. Diritti ci consegna sprazzi della vita del grande pittore, quelli necessari per poterne cogliere la vera essenza, che combaciano con il suo anelito di libertà e amore: i passaggi fondamentali che lo portarono al successo come pittore, l’accettazione e derisione dei suoi compaesani, l’acuirsi e l’attenuarsi delle sue crisi.  La narrazione non segue uno schema lineare, eppure i salti temporali non disorientano lo spettatore, perché riescono a catturare l’essenza del pittore e del disturbo così profondo alla base della sua arte.

È maestosa la collaborazione tra la conoscenza profonda del mondo rurale emiliano infusa nell’opera da Diritti, unita al lavoro attoriale di Germano, non solo sul rimodellamento della propria fisicità, per poterla meglio adattare al personaggio, ma che abbraccia anche uno studio fonetico nei riguardi delle capacità linguistiche del pittore, che si esprimeva mischiando i diversi lasciti linguistici della sua vita. Partendo da quel corpo che si nasconde sotto un indumento -che è allo stesso tempo corazza- emerge uno sguardo che mischia timore a curiosità, lo sguardo di un fanciullo sempiterno, che da voce a un’arte unica nel suo genere, distinguibile per la vivacità cromatica e l’energia intrinseca. “I quadri si vedono, non c’è bisogno di parlare”, afferma Ligabue: i suoi sono quadri parlanti, dipinti di una vita a cui non è concessa piena espressione verbale. La tavolozza diventa strumento indispensabile per sfuggire a un’esistenza marchiata dai disturbi mentali e dalla derisione generale. Diritti non giudica né assolve chi, per ignoranza o insensibilità, disprezza Ligabue e le sue opere, ma riesce a ritrarre con delicatezza e dolcezza estrema i pochi che ne seppero capire il tormento interiore e tentarono di essere per lui casa.

Sulla sua tomba si legge: «Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore». Solitudine, dolore, libertà e amore: i quattro pilastri di questo sodalizio tra Diritti e Germano, che riesce a restituire appieno i tormenti, i desideri e l’essenza più pura di un animo incompiuto.

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