Questi ultimi mesi del 2014, cinematograficamente parlando, sembrano essere particolarmente dedicati all’assenza, al vuoto, e agli infiniti modi in cui l’uomo reagisce ad essi. Lutti, sparizioni improvvise, eventi traumatici dal punto di vista di chi resta ad affrontarli faccia a faccia in modo obbligato, senza esserne assolutamente preparato.
Titoli come L’Amore Bugiardo – Gone Girl di David Fincher, nelle sale italiane dal 18 dicembre prossimo, Une Nouvelle Amie del regista francese François Ozon e Colpa delle Stelle, tutte opere focalizzate sulla mancanza di una persona a noi vicina, senza la quale non sapremmo pensare la nostra vita. Si aggiunge con forza a questo filone anche White Bird in a Blizzard, nuovo film di Gregg Araki, conosciuto per il riuscito Mysterious Skin.

A differenza dei titoli nominati appena sopra, che sanno ben prendere la direzione del thriller, della commedia nera o del dramma, White Bird in a Blizzard possiede un vizio di forma che lo rende fastidiosamente ibrido; la colonna sonora leggera, spensierata, le voci off e la messa in scena fanno pendere la bilancia verso il teen movie, lo scheletro della trama vira invece sul noir, lasciando lo spettatore decisamente confuso durante la visione.
Anche i sentimenti che ne derivano finiscono per essere contrastanti, risultando alla fine dei giochi freddi e distaccati. Un chiaro errore di scrittura, insieme ad un linguaggio ridondante, in contrasto con le buone intenzioni generali e il tema – l’elaborazione dell’assenza di una madre da parte di una teenager e di un padre – di profondo interesse. Anche la cura delle inquadrature e l’attenzione ai dettagli, insieme a una fotografia ben bilanciata e fumettata (con filtri che potremmo definire ‘alla Instagram’) avrebbero meritato sceneggiatura migliore.
Allo stesso modo gli interpreti, abbandonati in balia delle onde senza un reale spessore; la promettente Shailene Woodley – astro nascente del panorama americano dopo Divergent – non è messa in condizione di brillare in modo particolare e torna a casa con un’interpretazione inferiore a quella vista in Colpa delle Stelle. Persino la statuaria Eva Green – nell’insolita veste di madre di famiglia… – viene portata sullo schermo con troppi freni e limiti, non le bastano le capigliature strambe a donarle un’anima.
Un ritratto adolescenziale dunque appena tratteggiato, glaciale, raccontato con un linguaggio ormai datato che resterà impresso nella mente di pochi.

