Wild Men – Fuga dalla civiltà, la recensione

Tanta confusione alla base del ritorno alla natura dell'eroe norvegese

Wild Men recensione

Aspettative e doveri possono diventare macigni da portare per chi non riesce a trovare il proprio posto nella società, o nel proprio nucleo familiare, a patto di fare i conti con le frustrazioni quotidiane… o di fuggire. Queste le premesse dell’avventura raccontata da Wild Men – Fuga dalla civiltà di Thomas Daneskov, che sarà nelle sale da giovedì 20 ottobre con ARTHOUSE, nuovo progetto editoriale di I Wonder Pictures dedicato al cinema d’essai in collaborazione con Valmyn.

 

Wild Men – In fuga da se stessi

Al centro della scena, Martin, uomo adulto in piena crisi di mezza età, per sfuggire alla quale decide di darsi alla macchia. All’insaputa della famiglia va a vivere sulle montagne e nei boschi norvegesi come un autentico vichingo. La caccia e l’adattamento all’ambiente circostante, dovrebbero essere la sua via di salvezza e la sua unica fonte di sussistenza, come lo erano per i suoi antenati migliaia di anni fa, ma le cose sembrano essere piuttosto diverse…

E non solo perché i suoi piani di riconnessione con la natura vengono stravolti dall’incontro casuale con un fuggitivo di nome Musa. Un incontro che diventa per entrambi l’occasione per intraprendere un assurdo viaggio tra i fiordi della Norvegia, con alle calcagna la scombinata e disorganizzata polizia locale, due ‘spietati’ trafficanti di droga e la sua stessa moglie. E con l’utopica speranza di trovare altrove le risposte che non possono che essere dentro di sé.

Wild MenConsigli utili per la vita in prigione

Difficile vivere al di fuori della società nella quale siamo cresciuti, ancora più complicato far capire a chi ci è più vicino il bisogno di farlo, finendo con lo stare alle regole di un gioco che non prevede per noi la possibilità di uscirne vincitori. Una condizione, ormai, umana, che non a caso spinge molti a scelte estreme, o a una lunga psicoterapia. E che il regista danese – autodidatta – di Joe Tech e del corto Puff, Puff Pass (nel quale era il padre del protagonista a uscire di testa durante un campeggio fornendo al figlio Rasmus a la scusa per eludere le routine familiari) declina in maniera sarcastica e paradossale. Non surreale, che la realtà è un compagno di viaggio costante dei nostri due anti-eroi.

In fuga da un ruolo e da una mascolinità per una volta soffocante e non tossica, gli stereotipi qui vengono superati nella ricerca di una umanità che offre una via d’uscita sofferta, ma condivisibile. Nel sacrificio che tutti compiono – ognuno a modo suo, chi più e chi meno – c’è la speranza di trovare un modo di accettare le insicurezze e convivere con le proprie emozioni, magari al di fuori di un contesto consumistico e capitalista. E tanto nella ricerca iniziale quanto nella soluzione finale, un tono poetico e intimo che nulla toglie al divertimento di questo anomalo buddy movie scandinavo ricco di dialoghi surreali e situazioni ridicole.

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