X-Men: Dark Phoenix, recensione del film con Sophie Turner

X-Men: dark phoenix

Il 6 giugno arriva in sala X-Men: Dark Phoenix, il secondo tentativo, da parte di Fox (dopo il disastro di X-Men: Conflitto Finale), di portare al cinema la Saga di Fenice Nera, la storia a fumetti della Marvel che vede protagonista Jean Grey e l’entità cosmica, sceneggiata da Chris Claremont con i disegni di Dave Cockrum e John Byrne.

 

Ad oggi, l’arco narrativo pubblicato nel corso degli anni ’80 dalla Marvel, rimane una delle storie più affascinanti e riuscite dell’intera storia editoriale della testata, motivo per cui i fan hanno atteso con ansia l’uscita del film che vede Sophie Turner riprendere il ruolo di Jean Grey.

Il film è l’esordio dietro alla macchina da presa di Simon Kinberg, lo storico produttore del franchise, che lavora con i mutanti dal 2000, quando arrivò al cinema il primo film sugli X-Men. Proprio a lui è stato affidato l’incarico di realizzare la pellicola che dovrà segnare una chiusura ideale della serie, un capitolo finale da tutti i punti di vista, che guarda al futuro immaginando universi (condivisi) differenti.

La storia vede Jean Grey protagonista di un incidente nello spazio, in cui il suo corpo assorbe un’entità cosmica che si rifugia dentro di lei, amplifica i suoi poteri e la rende allo stesso tempo molto instabile nel controllo degli stessi.

X-Men: Dark Phoenix, così come è stata raccontata da Kinberg, subisce una netta semplificazione rispetto al testo originale e diventa una sorta di coming of age, in cui l’adolescente combatte con i suoi demoni per diventare donna, un rito di passaggio non troppo diverso dai racconti di formazione di cui il cinema è pieno. Tutto questo viene raccontato però all’interno del contesto fantasy supereroistico, e non di eroi “comuni”, ma dei mutanti, che portano una componente sociale e umana che non permette loro né di ergersi a figure divine e cupe come si è tentato di fare con gli eroi della DC, né li mette in condizione di unire eroismo e ironia, come invece ha fatto così bene il Marvel Studios.

Il risultato, sia in fase di sviluppo narrativo che di scrittura è un film un po’ incerto, semplicissimo nella sua struttura eppure traballante, pieno di troppi personaggi che non hanno il giusto spazio, una produzione che sicuramente paga il prezzo del terremoto che ha travolto la Fox durante la realizzazione stessa del film, ovvero l’acquisizione dello studio da parte di Disney.

Il cast stellare di X-Men: Dark Phoenix riesce benissimo a tenere testa al proprio ruolo e alla propria fama, con un Michael Fassbender che prova a dare dignità persino al Magneto peggio scritto della storia del personaggio al cinema, e con James McAvoy che, dopo lo shock di Apocalypse, ha adottato finalmente il look calvo di Xavier e riesce comunque ad essere convincente. Sprecata l’occasione di coinvolgere un’attrice del calibro di Jessica Chastain nel film: la sua aliena misteriosa sembra nient’altro che un mcguffin piazzato in bella mostra per far procedere la storia.

Nonostante un paio di scelte davvero suggestive e una cura notevole negli effetti visivi che, soprattutto nelle scene con la Turner, costituiscono il principale punto di interesse del film, X-Men: Dark Phoenix è un’operazione che non convince per coerenza e non riesce a creare un legame emotivo con i personaggi, aspetto su cui la produzione sembra voler insistere.

Il film riesce comunque a consegnare una sensazione di chiusura soprattutto nella scena finale (non post credits), un omaggio onesto e appassionato a tutto ciò che è stato fatto prima, dall’inizio della storia degli X-Men al cinema, fino ad oggi.

Il futuro dei Mutanti Marvel è adesso proiettato verso nuovi universi, affidato a chi ha dimostrato di saper raccontare benissimo le storie dei supereroi. Probabilmente a partire dal 2021, il destino dei ragazzi di Xavier sarà tutto da riscrivere, nelle mani di un topo guantate di bianco.

Guarda il trailer di X-Men: Dark Phoenix

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