Con l’arrivo nelle sale italiane (il 4 febbraio) dell’ottavo film di Quentin Tarantino, che abbiamo recensito in anteprima, non si fa altro che parlare – talvolta anche in modo ossessivo – di 70mm. Una cifra, una lunghezza, per molti un simbolo e un emblema, ma di cosa parliamo esattamente? Con 70mm intendiamo la larghezza di una particolare pellicola, grande il doppio rispetto alla classica da 35mm, capace di avere una definizione maggiore e una migliore qualità sonora. Proprio in virtù di quest’ultima caratteristica, il reale spazio dedicato al frame video è di 65mm, con i restanti 5mm interamente riservati a quattro piste sonore, necessarie a fornire 6 canali audio.
Anche quando la colonna sonora, nelle versioni più moderne, è staccata dalla pellicola, lo spazio dedicato all’immagine rimane di 65mm per problemi di formato e compatibilità. Un sistema molto simile al più complesso IMAX, con il quale si possono creare fraintendimenti poiché stampato sempre su pellicola 70mm ma dal funzionamento del tutto diverso. Il 70mm classico, proprio quello usato per The Hateful Eight, viaggia in verticale come una normale pellicola 35mm e il frame equivale a 4 perforazioni; l’IMAX, girato e proiettato su macchine decisamente più ingombranti e complesse, scorre in orizzontale e il frame è grande ben 15 perforazioni, dunque parliamo di un sistema capace di fornire una qualità dell’immagine estremamente superiore. Ma è soltanto la qualità che determina la scelta di un formato anziché un altro? Perché il regista di Pulp Fiction e de Le Iene si è affidato a questa tecnologia per girare il suo nuovo film nel 2016?




Ogni stampa si poteva e si può definire ancora unica, è raro trovarne identiche per quanto riguarda le caratteristiche tonali, inoltre gran parte dell’esperienza finale dipende dal proiettore in uso, è dunque estremamente facile incappare in proiezioni terrificanti. Polvere, peli e affini, macchie, sfocature e sgranature, sottotitoli malamente sovraimpressi, tutti elementi che hanno fatto la storia del cinema certo, ma che per l’appunto appartengono al passato. Al di là del clamore mediatico, del fattore nostalgia e dell’emozione “dell’analogico”, restano ben pochi motivi per continuare a lavorare con pellicola di grande formato, se si esclude l’incredibile tecnologia IMAX ovviamente. Stiamo però parlando di mera tecnica, con l’unico scopo di far chiarezza e non – come potrebbe sembrare – di sconfessare e sconsacrare. In fondo, come dicono in molti, la pellicola è morta, lunga vita alla pellicola, e così sia.
