Approda finalmente al cinema Cell di Tod Williams, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. L’illustratore Kyle Riddle si trova all’aeroporto di Boston di rientro da un colloquio di lavoro e intenzionato a tornare a casa in breve tempo per tentare di risolvere la difficile situazione familiare che si è lasciato alle spalle. Improvvisamente si scatena l’Apocalisse quando un misterioso segnale acustico trasmesso dai telefoni cellulari inizia a disseminare la pazzia fra le persone, trasformando all’istante gli utenti in bestie sanguinarie e senza controllo. Tentando di sfuggire al caos generale, Kyle fa la conoscenza di alcuni dei pochi scampati all’impulso distruttivo e insieme a loro cerca un modo per tornare dalla moglie e dal figlio senza sapere nel frattempo quale sorte gli sia toccata.

 

Cell è un mix volontario e consapevole di diverse matrici per nulla originali di generi 

Dopo oltre dieci anni di gestazione e numerosi avvicendamenti di grandi nomi alla possibile guida del progetto – inizialmente addirittura Eli Roth –  ecco finalmente trasposto sul grande schermo uno dei lavori letterari sicuramente più interessanti della New Age del Maestro del Brivido Stephen King. Cell si presenta fin dalla sua matrice romanzesca come un volontario e consapevole mix di diverse matrici per nulla originali (zombie, post-apocalyptic, survival horror) ma originariamente miscelati con la straordinaria maestria che è propria solo dello scrittore di Portland, gettando sguardi citazionistici che da Romero muovono attraverso McCarthy e giungono fino ai redivivi al gusto cocainomane di Boyle. Purtroppo però ciò che poteva risultare avvincente sulla carta si traduce in qualcosa di assolutamente poco riuscito nella forma filmica, complice forse la regia scialba ed estremamente ingenua di Tod Williams e una sceneggiatura inspiegabilmente priva di guizzi evocativi scritta a quattro mani da King stesso e Adam Alleca.

Cell

Dopo un incipit dominato da uno stile visivo ibrido di pseudo docufiction potenzialmente promettente ma subito abbandonato in favore di una narrazione classica, la pellicola si struttura nei classici tre atti narrativi ricorrendo a una cadenza degli eventi del tutto priva di spessore, concedendo solo sporadicamente alcune sequenze ad effetto e concludendosi con un epilogo a dir poco emblematico e del tutto dissimile (per volere dell’autore) dal romanzo. John Cusack torna affianco al tenebroso Samuel L. Jackson dopo la precedente esperienza targata King di 1408 (2007), ma se il primo adotta l’ormai consolidata e ottimale recitazione straniante, il secondo si adagia sugli allori tarantiniani e compie il minimo indispensabile, adottando una monoespressività che ha come effetto almeno quello di favorire le ottime interpretazioni della giovane Isabelle Fuhrman e dell’elegantissimo Stacy Keach.

Forse complice l’eccessivo tempo d’incubazione che ne ha ingigantito le aspettative, Cell finisce per sprecare clamorosamente le potenzialità in suo possesso, rivelandosi niente più che un prodotto di basso intrattenimento sicuramente non paragonabile alle evocazioni perturbanti e ai sottesi richiami socio-politici della sua originaria matrice.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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