A volte la rivoluzione
passa per gesti semplici, così piccoli da stare tra le mura di una
casa, eppure sconfinati. Val, interpretato dalla bravissima
Regina Casè, è una governante che fa il suo lavoro
con amore e serietà. Dopo aver lasciato sua figlia alle cure del
padre e di una zia, approda a San Paolo iniziando a lavorare presso
una facoltosa coppia di cui accudisce amorevolmente il figlio,
diventando di fatto la sua “seconda madre”. Un secondo posto che le
spetta, suo malgrado, anche nella vita della figlia Jessica che
arriva in città per sostenere l’esame d’ingresso presso una
prestigiosa università.
Figlia di una generazione che non si sente più schiava delle differenze di classe, Jessica porterà scompiglio nel mondo socialmente statico di Val, infondendole il coraggio di guardarsi sotto una diversa luce per vedersi «né migliore, né peggiore di chiunque altro».
Anna Muylaert è l’invisibile direttrice d’orchestra di questo piccolo, grande film. La macchina da presa, spesso immobile, diventa un oggetto che scompare con estrema naturalezza nel sistema di una direzione degli attori svuotata di qualsiasi “vizio di forma”, fotografando l’azione con il preciso intento di rinunciare a qualsiasi forma di gerarchia.
Lo spettatore entra
nella casa in cui si concentra la vicenda, camminando tra le sue
pareti indisturbato e libero di una guida che lo tenga per mano.
Invisibile, riesce gradualmente a percepire le tracce, lasciate con
maestria nei più piccoli dettagli, di una dittatura perpetrata
silenziosamente nell’involucro di un mondo moderno e civile. La
scrittura, caratterizzata da una leggerezza che può essere solo
frutto di un duro, puntualissimo e meticoloso lavoro, non tradisce
sbavature, riuscendo nell’impresa di non peccare di presunzione e
mettendosi quindi al completo servizio del film.
Il film di Anna Muylaert possiede uno stile che è difficilmente riassumibile con pochi riferimenti. Mette in scena la discriminazione di classe insidiatasi così capillarmente nella cultura brasiliana, da trasformarsi in naturale e incontestabile tradizione, arrivandoci con modalità del tutto singolari. Spoglio di retorica, abbraccia toni che sono propri del reportage, pur non essendo tale. Sfiora la denuncia sociale, spogliandola di aggressività e mostrando con efficacia quanto le barriere sociali siano null’altro che pura assurdità.In uscita nella sale italiane il 4 giugno, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Sundance Festival e del premio del Pubblico al Festival di Berlino, È arrivata mia figlia, riesce a mettere d’accordo cuore e ragione e, no, non è un passaggio scontato.