Andiamo a quel Paese: recensione del film di Ficarra e Picone

Andiamo a quel Paese

Ficarra e Picone, con Andiamo a quel Paese al quinto film, prendono come spunto per la loro storia la cronaca quotidiana: l’Italia è un paese in cui gli anziani sono diventati la maggioranza della popolazione e si è giovani fino a 50 anni. Essere giovane implica anche non prendersi nessuna responsabilità né nelle azioni che si fanno e né in quello che queste provocano, e il film viaggia proprio su questo assunto. I due personaggi, Salvo sposato con figli e Valentino giocano a fare gli adulti, ma litigano ancora come se fossero alle elementari e, soprattutto, si complicano la vita per sbaracare il lunario, cercando soluzioni strampalate per guadagnare un po’ di soldi basta che non siano da un lavoro vero.

 

In Andiamo a quel Paese Salvo e Valentino sono due disoccupati che decidono di abbattere le spese quotidiane trasferendosi dalla città, Palermo, al paese, Monteforte, di cui è originario Valentino e dove abita la moglie di Salvo. Nonostante questo, i due devono comunque trovare un modo per sbarcare il lunario, e dopo aver osservato la vita del paese, popolato soprattutto da anziani, decidono di trasformare la casa in cui abitano in un ospizio, vivendo così delle pensioni degli ospiti.

Andiamo a quel Paese, il film

Come in Pranzo di ferragosto di Gianni di Gregorio, gli anziani sono fonte di quello che per tutti è una necessità ma non una garanzia, soprattutto se non si ha intenzione di lavorare: una rendita mensile. Il tono  di Andiamo a quel Paese è di commedia un po’ cinica, che prende in giro molti dei luoghi comuni della cultura italiana che in alcuni momenti vengono ribaltati in farsa, ma non troppo, onde evitare di rompere gli argini del “politically correct”. Ovviamente a farla da padrona sono le gag del duo comico, ma sono interessanti le storie accessorie che si sviluppano intorno a loro, soprattutto quella della zia Lucia, oggetto dell’organizzazione di una truffa a fin di bene.

Andiamo a quel PaeseIl tutto ricorda le commedie classiche italiane dei decenni passati, quelle di Alberto Sordi nello specifico, in cui l’italiano medio è di solito un traffichino che cerca, con sotterfugi e imbrogli di campare alla bell’e meglio; sempre nei limiti della legalità e sempre con un discreto senso di colpa al seguito. La sua classica canzone “E va e va” il cui ritornello “te c’hanno mai mannato a quel paese” probabilmente è stato d’ispirazione per il titolo del film, viene infatti eseguita sui titoli di coda.

Per ribadire il legame con queste commedie, non a caso in una delle scene a iperbole che si verificano durante il film, Salvo, stordito dentro un’ambulanza, dice la tris che fa diventare ricchi i tre protagonisti di Febbre da cavallo di Steno, film culto del 1976 con Enrico Montesano e Gigi Proietti, anche loro personaggi squattrinati e armeggioni, ma in fondo buoni di cuore. Bisogna aspettare le ultime scene per avere finalmente una presa di posizione, surreale e molto cinica, sul destino del paese, che lascia con il sorriso, ma non troppo.

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