Maps to the stars: recensione del film di David Cronenberg

Maps to the stars

Fin dai suoi primi film sappiamo che il regista canadese David Cronenberg mette in scena una pericolosa e a volte azzardata ricerca nelle più stravaganti forme della malata psicologia dell’uomo. E sappiamo anche che ha saputo farlo con una geniale follia che ha dato vita a straordinari film come Crash (vincitore del premio della giuria a Cannes, 1996) o A History of Violence (2005). Ma sappiamo anche che a volte lo stile di Cronenberg può portarlo a prodotti più insicuri, come nel caso di Maps to the Stars, presentato ieri alla 67° edizione del festival di Cannes.

 

Maps to the stars ruota attorno alle vicende di alcune stars di Hollywood: un teen-idol tredicenne con una tossicodipendenza alle spalle, suo padre, psicoterapeuta dei divi (John Cusack), un’attrice che aspira a interpretare la madre in un film (Julianne Moore), la sua nuova misteriosa assistente (Mia Wasikowksa) e l’intraprendente tassista di limousine (Robert Pattinson). Quasi tutti sono più o meno estrosamente all’apice di una schizofrenia tenuta a bada da svariate pillole antidepressive. Ad amalgamare il tutto vi sono una buona dose di allucinazioni che tormentano i personaggi. Ma Cronenberg non sembra voler osare troppo, tiene sempre a freno le situazioni anche nei loro risvolti più assurdi, creando una atmosfera in cui convivono realtà e incubo non del tutto convincente.

Maps to the StarsLa ambientazione hollywoodiana rimane però molto chiusa in se stessa, evitando anche quella forma di narrazione tra assurdo e metaforico che rendeva più interessante il suo ultimo film, Cosmopolis. Lo sceneggiatore Bruce Wagner ripesca sottotrame dai vecchi film del regista, che in questo modo purtroppo finisce per risultare un po’ allievo di se stesso.

Il film ha indiscutibili punti forti, più sul versante comico che su quello drammatico, con un cast d’eccezione che sorregge molto la storia. Però, ad un autore del calibro di David Cronenberg, che ha sconvolto molto con i suoi film e che speriamo continui a farlo, è lecito chiedere qualcosa di più.

di Enrico Baraldi

- Pubblicità -