Marley: recensione del film di Kevin Macdonald

Marley

Raccontare la carriera, la vita e gli affetti del più grande artista nella storia del reggae. Questa l’impresa del regista britannico Kevin Macdonald in Marley, lungo documentario in cui si ripercorrono le tappe che portarono il cantante giamaicano dai timidi esordi al successo internazionale.

 

Marley, il film

Realizzato con la piena collaborazione della famiglia Marley, che per la prima volta ha autorizzato l’uso dei suoi archivi privati, il film mescola sapientemente sequenze di repertorio ad un’ottima carrellata d’interviste, testimonianze e ricordi di coloro che lo conobbero meglio durante la sua breve vita. Frammenti di un’esistenza scandita da un amore profondo per la musica e dalla devozione verso il Rastafarianesimo, la religione cui Marley si convertì nel ’66.

Tra le voci principali, spicca quella del mentore e amico Neville “Bunny” Livingston, colui che lo iniziò alla musica nel paesino di Nine Mile, dove Robert nacque nel ‘45 da madre nera e padre bianco di origine inglese. Una relazione per l’epoca scandalosa, e che ebbe ripercussioni non indifferenti sull’infanzia di Bob, per il quale l’essere di razza mista comportò una continua emarginazione. Ecco allora che la musica si erge progressivamente a strumento di ricerca dell’idea di fratellanza, di pace – unico mezzo per arrivare ad una nuova spiritualità.

Dopo la fase iniziale con “The Teenagers”, Bob fonderà insieme a Bunny e a Peter Tosh il gruppo “The Wailers”. Le parole di Bunny, occhiali scuri e cappello bombato giamaicano in testa, restituiscono senza fronzoli il decennio che va dal ‘64 al ’73, quando il gruppo si sciolse dopo l’uscita di Tosh e dello stesso Bunny per divergenze artistiche interne.

Ma il talento di Marley continuerà ad esprimersi nell’arco di una fortunata carriera da solista, accanto alla moglie Rita (corista delle “I Three”), inseguendo le maggiori case discografiche (a partire dalla Island Records di Chris Blackwell) e conquistando i palcoscenici inglesi e americani. Per arrivare ad esibirsi nell’amata Africa, chiamato a festeggiare l’indipendenza dello Zimbabwe.

Al discorso di Bunny si affiancano le memorie di Neville Garrick, direttore artistico dei The Wailers che fu vicino a Bob sino alla morte prematura nell’81, le testimonianze dei figli Ziggy e Cedella, le parole mai ascoltate del cugino Peter, che ricorda la sofferenza di Bob di fronte al rifiuto di uno zio bianco. Commovente la sequenza in cui Costance, sorellastra dell’artista, ascolta la canzone “Cornerstone”, scritta da Bob proprio in seguito a quello spiacevole incontro.  E non si può restare indifferenti di fronte alla scena in cui, durante il concerto “Smile Giamaica” del ’73, Bob unisce sul palco le mani del primo ministro Manley e del capo dell’opposizione.

Un personaggio rivoluzionario, che si distinse per la straordinaria capacità di parlare ad un pubblico senza confini, andando oltre barriere linguistiche, religiose e culturali. Quello di McDonald è un ritratto completo che vuole andare oltre la semplice leggenda, quella di Marley divo del reggae, disegnando i contorni dell’uomo che una volta disse: “La mia ricchezza è la vita”.

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Ilaria Tabet
Laureata alla specialistica Dams di RomaTre in "Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi", ho frequentato il Master di giornalismo della Fondazione Internazionale Lelio Basso. Successivamente, ho svolto uno stage presso la redazione del quotidiano "Il Riformista" (con il quale collaboro saltuariamente), nel settore cultura e spettacolo. Scrivere è la mia passione, oltre al cinema, mi interesso soprattutto di letteratura, teatro e musica, di cui scrivo anche attraverso il mio blog:  www.proveculturali.wordpress.com. Alcuni dei miei film preferiti: "Hollywood party", "Schindler's list", "Non ci resta che piangere", "Il Postino", "Cyrano de Bergerac", "Amadeus"...ma l'elenco potrebbe andare avanti ancora per molto!