Dopo una lunghissima carriera come direttore della fotografia (Chiedimi se sono felice, Mia madre e Benedetta follia, tanto per citare alcuni titoli), Arnaldo Catinari torna ora alla regia di un lungometraggio con Alla festa della rivoluzione, presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma. Non si tratta della prima regia per Catinari, già autore nel 1992 di Dall’altra parte del mondo e poi regista di alcuni episodi di Suburra – La serie, Vita da Carlo e Citadel: Diana. Con questo suo nuovo progetto, però, firma la sua opera più ambiziosa.
Tratto dal libro omonimo di Claudia Salaris, il film – da Catinari scritto insieme a Silvio Muccino – ci porta infatti nel primo dopoguerra, in un momento di apparente euforia ma nel quale si trovano già i semi che germoglieranno poi nelle tensioni politiche e sociali degli anni successivi. In questo momento in cui tutto sembra possibile e permesso, si svolge dunque una vicenda che Catinari descrive come “di vendetta, redenzione e amore che vuole essere un film popolare, avvincente e intrigante“, che risulta vincente soprattutto nella cura della ricostruzione di quel periodo sullo schermo.
La trama di Alla festa della rivoluzione
1919. Nell’incandescente clima politico che precede il fascismo, Beatrice, una determinata spia al servizio della Russia, è a Fiume il giorno in cui il vate ed eroe di guerra Gabriele D’Annunzio dà il via alla sua rivoluzione visionaria. Ma proprio durante la festa d’insediamento si trova coinvolta in un attentato alla vita del Poeta-Guerriero. Scoprire quali sono i nemici della rivoluzione è di prioritaria importanza: per Beatrice che è lì per proteggere D’Annunzio, per Pietro, il capo dei servizi segreti italiani combattuto tra dovere e ideali.
Ma anche per Giulio, un medico, disertore della Grande Guerra, vicino agli ambienti anarchici. Sullo sfondo di una rivoluzione che intende cambiare il mondo, le vite di Beatrice, Pietro e Giulio si intrecciano rivelando una realtà in cui intrighi politici, amori impossibili e vendette private collideranno finendo per modellare non solo il loro destino ma anche quello di Fiume, di D’Annunzio e dell’Italia, che all’alba degli anni 20 si trova ad un bivio cruciale tra dittatura e rivoluzione.
Tra cura per il dettaglio ed eleganza estetica
C’è un aspetto che colpisce fin dai primi minuti di Alla festa della rivoluzione: la forza delle immagini. Arnaldo Catinari – che firma anche la fotografia del film – costruisce infatti un film che si lascia ammirare per la sua eleganza visiva. Ogni scena sembra studiata al millimetro, con colori che oscillano tra il naturalismo e l’artificio, e una luce capace di restituire tanto la materia della Storia quanto la sua dimensione più simbolica. È un cinema che non si limita a ricostruire, ma prova a evocare. Così facendo, riesce spesso a incantare per la cura e l’eleganze ricercate e ottenute.
Allo stesso tempo, però, questa perfezione formale si porta dietro un rischio: quello della distanza emotiva. L’immagine è così curata da diventare, a tratti, una barriera. I personaggi sembrano muoversi dentro una cornice troppo ordinata, dove la tensione visiva prevale sugli sconvolgimenti di cui si sta narrando. Catinari ha il merito di tentare una fusione tra linguaggio pittorico e dramma storico, ma il risultato resta talvolta incerto: potente sul piano visivo, probabilmente meno incisivo su quello umano. È un equilibrio fragile, che funziona a tratti e si spezza quando il film vorrebbe spingersi verso il pathos.
Un cast di prim’ordine per rievocare la storia
Eppure, anche nei suoi limiti, Alla festa della rivoluzione trova un’identità precisa. Catinari non insegue il realismo, ma un’estetica quasi teatrale, dove la storia si fa visione e l’utopia di quel periodo prende corpo nei paesaggi e nei volti dei protagonisti. Valentina Romani, nel ruolo di Beatrice, incarna con intensità la spia russa coinvolta nell’impresa di Fiume, mostrando una vulnerabilità che si mescola a una determinazione silenziosa. Riccardo Scamarcio, nei panni di Pietro, il capo dei servizi segreti italiani, offre invece una performance misurata, sottolineando il conflitto interiore del suo personaggio senza mai cedere a eccessi emotivi.
Nicolas Maupas, che interpreta Giulio, un disertore legato al movimento anarchico, porta sullo schermo una passione giovanile che si scontra con le dure realtà del contesto storico. Infine, Maurizio Lombardi, nel ruolo di Gabriele D’Annunzio, riesce a rendere la figura del poeta-soldato con una presenza scenica che mescola carisma e autoritarismo, senza mai scadere nel caricaturale. Insieme, questi attori costruiscono un affresco corale che, pur nelle sue sfumature, riesce a trasmettere le tensioni e le speranze di un’epoca turbolenta.
Contro le disillusioni del presente
Dietro la rievocazione storica e l’estetica raffinata, Alla festa della rivoluzione è però soprattutto un film che parla di utopie e disillusioni. L’impresa di Fiume diventa lo specchio di un sogno collettivo destinato a frantumarsi, ma anche il racconto di un’energia giovanile che cerca una nuova forma di libertà. Catinari guarda a quel momento con un misto di fascinazione e malinconia: da un lato la voglia di sovvertire l’ordine, dall’altro la consapevolezza che ogni rivoluzione finisce per essere tradita dal proprio stesso mito.
Il risultato è un racconto che, pur se ambientato nel 1919, dialoga in modo diretto con il presente, interrogandosi su cosa resti oggi del desiderio di cambiare davvero le cose. Il film mette in scena il sogno di un mondo diverso, ma lo fa senza idealizzarlo. L’utopia dannunziana viene raccontata come un esperimento politico e umano che si nutre di contraddizioni: la libertà che diventa caos, la passione che si trasforma in potere, l’arte che si piega alla propaganda.
Catinari non giudica i suoi protagonisti, ma si limita ad osservarli. Lascia che le loro parole e i loro gesti rivelino quanto sia fragile ogni tentativo di rivoluzione, quando manca una coscienza collettiva capace di sostenerla. È in questa tensione — tra idealismo e fallimento — che Alla festa della rivoluzione trova la sua verità più profonda: quella di un film che racconta il sogno di un popolo e, allo stesso tempo, il momento in cui quel sogno inizia a svanire.
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Alla festa della rivoluzione
Sommario
Alla festa della rivoluzione un film che non sempre emoziona, ma che sa restare impresso per la coerenza e l’eleganza con cui trasforma il passato in immagine e monito per il presente.
