La tradizione eschilea dell’ereditarietà della colpa, insieme a qualche elemento shakespeariano, sono sempre stati alla base della mitologia di Star Wars e affrontando uno spin-off, ovvero un film parallelo e indipendente ma inserito nel franchise, Rogue One: A Star Wars Story, non ci si poteva esimere dal raccontare un dramma familiare. La piccola Jyn viene lasciata da sola in un mondo brullo, solitario, sporco e pericoloso, non c’è la presenza rassicurante degli zii di Luke Skywalker, né, nonostante le similitudini con Rey, la calda per quanto desertica atmosfera di Jakku. Jyn è sola al mondo, e il suo destino la coinvolgerà nella lotta contro l’Impero, quello stesso ordine del terrore che le ha strappato la famiglia e l’infanzia.
Rogue One: Famiglia, Coraggio, Ribellione e Speranza
Gareth Edwards parte da un presupposto tradizionale per cimentarsi in un racconto rischioso e allo stesso tempo rassicurante. Il film, che cronologicamente nell’universo di Star Wars si pone pochi mesi, forse poche settimane prima di Una Nuova Speranza, è un racconto autoconclusivo, che non ci dà appuntamento al prossimo anno ma si esaurisce nella sua splendida tragicità , nei suoi 133 minuti. Una dote (o un ritorno alla normalità ?) rara in un mondo governato da film a puntate che perdono il senso del racconto per trasformarsi in episodi.
Diviso in tre atti, nella sua canonica forma narrativa Rogue One: A Star Wars Story si serve di un prologo tragico, di una prima parte leggermente macchinosa nell’esposizione dei fatti, una seconda di riscaldamento, di disposizione delle forze, e un terzo atto perfetto, spettacolare ed epico, forte di personaggi che, seppure non troppo approfonditi, riescono a ritagliarsi uno spazio degno, un compito per la causa e per l’Alleanza. E sebbene siamo tutti in attesa di scoprire il destino di Jyn, eroina polverosa, dura e decisa, meno delicata di Rey e più autonoma di Leia, protagoniste incontrastate della pellicola sono la Speranza, diretto rimando agli eventi che ci saranno da lì a poco (quelli in Guerre Stellari del ’77), e la Ribellione, la causa, il valore di una lotta contro l’oscurità dell’Impero.
La vera arma vincente di Rogue One: A Star Wars Story è l’autonomia. Il film si struttura alla perfezione senza necessità di appoggiarsi agli altri capitoli, ci sono rimandi e citazioni, persino personaggi, ma sono piccoli regali concessi ai fan a fronte di una storia fatta di uomini e donne in guerra per ciò in cui credono. La stessa colonna sonora, per la prima volta non di John Williams ma di Michael Giacchino, si appoggia all’originale e salpa verso nuovi orizzonti musicali. Poi c’è Gareth Edwards, che, come dimostrato con Godzilla, pur essendo perfetto mezzo da studio non rinuncia a piazzare quelle inquadrature personali, quel tocco che abbiamo ammirato in Monster, che dà dignità allo spettacolo e ai volti degli eroi. Belli, giovani, sporchi e coraggiosi, gli eroi di Rogue One sono la vera Speranza in un mondo in guerra, dove la guerra stessa è riportata in primo piano, probabilmente per la prima volta, sul suolo, via aria, una guerra che fa vittime, che porta dolore ma che riesce a cavare anche il meglio da chi ha qualcosa da dare.
Perché andare a vedere Rogue One?
Rinuncereste mai a sentire una storia che vi piace, ma di cui conoscete l’epilogo? L’amore per Star Wars vi porterà al cinema a vedere Rogue One: A Star Wars Story, il coraggio e la passione di questi nuovi giovani eroi vi terra incollati alla poltrona, fino all’epico e glorioso finale.