Grazie ragazzi, la recensione del film di Riccardo Milani

La pellicola è un adattamento del film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, e vede Antonio Albanese nei panni di un attore disilluso

Grazie ragazzi recensione film

Riccardo Milani torna in sala con una commedia dai toni dolci e affettuosi, Grazie ragazzi, portandosi dietro per la quarta volta il suo Antonio Albanese, in un ruolo più toccante e profondo che mai. La pellicola è l’adattamento del film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, con una sceneggiatura scritta a quattro mani dallo stesso regista insieme a Michele Astori. La storia pone l’accento sull’importanza del teatro come luogo di libertà e di salvezza, specie se utilizzato in un contesto sociale complicato come può essere il carcere.

 

Il film cerca di puntare una luce su quei settori – come quelli culturali – lasciati in balia del disinteressamento politico, ma che se sostenuti e promossi a dovere possono trasformarsi in un supporto essenziale per la comunità. Grazie ragazzi è distribuito da Vision Distribution, e arriverà nelle sale cinematografiche dal 12 gennaio, per poi approdare per qualche mese sulla piattaforma streaming Prime Video.

Grazie ragazzi, la trama

Di fronte alla mancanza di offerte di lavoro, Antonio (Antonio Albanese), attore appassionato ma spesso disoccupato, accetta un lavoro offertogli da un vecchio amico e collega, assai più smaliziato di lui, come insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. All’inizio titubante, scopre del talento nell’improbabile compagnia di detenuti e questo riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro, al punto da convincere la severa direttrice del carcere a valicare le mura della prigione e mettere in scena la famosa commedia di Samuel Beckett “Aspettando Godot” su un vero palcoscenico teatrale.

Giorno dopo giorno i detenuti si arrendono alla risolutezza di Antonio e si lasciano andare scoprendo il potere liberatorio dell’arte e la sua capacità di dare uno scopo e una speranza oltre l’attesa. Così quando arriva il definitivo via libera, inizia un tour trionfale.

Una dolce commedia italiana

Quando al cinema arrivano prodotti nostrani il cui genere è la commedia, storcere il naso non è una reazione strana. Nel panorama cinematografico italiano, dove le commedie costituiscono il prodotto principale offerto, rendendo saturo un mercato già in difficoltà, essere scettici è lecito. Eppure, a volte, arriva un regista in grado di aprire una finestra più conturbante delle solite in cui, seppur a dominare è il genere della commedia, l’opera risulta ben riuscita. Le ragioni risiedono nella sua struttura compositiva che, oltre a essere studiata per il grande pubblico, si pone l’obiettivo di apparire corposa nella materia trattata, delineando un messaggio di spicco.

Sembra questa l’idea con cui Milani ci presenta il suo Grazie ragazzi, una pellicola in cui sceneggiatura e immagini hanno lo stesso peso e lo stesso spazio nel piano della messinscena, fatta di equilibri semplici ma efficaci. Operare con semplicità qui diventa un escamotage per mettere in luce la potenza del contenuto proposto, il quale non esige toni forbiti e montaggi particolari per risultare appetibile, quanto piuttosto di una forma basilare ma autentica per mostrarsi nella sua essenza più pura. Seppur la durata dilati in maniera eccessiva gli eventi, Grazie ragazzi con il suo ritmo incalzante e coinvolgente, regala al pubblico un’opera dignitosa e sincera, conscia del carico che si porta sulle spalle e sicura di dove vuole arrivare.

Il teatro: una forma d’arte salvifica

La scrittura di Grazie ragazzi pone al centro della sua trama un ringraziamento speciale al teatro, una forma d’arte al servizio di tutti, anche dei discriminati e dei criminali, che in essa cercano e trovano rifugio. Il teatro è potente, liberatorio, salvifico e nel film ci viene restituito nella sua accezione più vera e universale. I personaggi qui tracciati sono dei detenuti che hanno perso il sapore della vita e, al tempo stesso, hanno smarrito loro stessi.

Come essi stessi dicono, la loro quotidianità è colma di attese infinite: il pasto, il colloquio, l’ora d’aria ma soprattutto il giorno della libertà. Ecco perché il dramma teatrale Aspettando Godot di Beckett non è una scelta casuale: proprio come Estragone e Vladimiro che aspettano Godot, i ragazzi aspettando con ansia la loro libertà, fra dibattiti, insicurezze e grandi speranze. E non è forse questo il teatro? Un palcoscenico in cui fingere diventa, paradossalmente, l’unico accesso al proprio Io reale, dando così un senso alla vita.

Albanese veste i panni di un attore deluso dalla sua carriera, che cerca di riscattarsi facendo diventare il suo spettacolo un veicolo di sfogo per quei ragazzi costretti – seppur per colpa loro – ad una condizione sociale limitante e frustrante, proprio come la sua. Il teatro, per questi, diventa l’unica strada percorribile per essere “liberi di volare”, come dice la canzone di Vasco Rossi e, in qualche modo, perdonarsi.

Un teatro, quello sullo schermo, che sembra elogiare il metodo Stanislavskij, la cui base sta proprio nell’approfondire la psicologia del personaggio in scena e, al tempo stesso, ricercare l’affinità fra il suo mondo interiore e quello dell’attore. Il processo che si mette in moto in Damiano, Mignolo, Aziz, Diego e Radu costituisce la cifra dominante di Grazie ragazzi: tramite la connessione creatasi fra loro e i personaggi che rappresentano, riescono a trovare una voce, a riscattarsi e soprattutto a credere ancora in loro stessi.

In conclusione Grazie ragazzi diventa una bella parabola sulla vita, sul teatro e sulle sue verità. Un inno a questa forma d’arte liberatoria e a tutta la cultura in generale, spesso svalorizzata e dimenticata, ma la cui potenza, come il cinema, è talmente forte da poter rivoluzionare il mondo. Un’arte che andrebbe incentivata e usata per alleviare, come una medicina, le sofferenze degli uomini.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
grazie-ragazziMilani porta in scena una pellicola dai toni semplici ma intensi, in cui tragedia e comicità sono gli elementi che stanno alla base non solo del teatro ma anche dei suoi personaggi. Un vero e proprio ringraziamento al teatro e al suo essere luogo di verità ma anche di libertà.