Il cinema cosiddetto high concept nasce per attrarre lo spettatore con premesse semplici, intriganti e facilmente comunicabili. Locked – In trappola, remake del film argentino 4×4 (2019) diretto da Mariano Cohn, si inserisce perfettamente in questa categoria: un ladro rimane intrappolato nell’auto che stava cercando di derubare. Una situazione chiusa, tesa, claustrofobica, che in teoria offre terreno fertile per costruire un thriller psicologico serrato e avvincente.
Eppure, la regia di David Yarovesky (Brightburn) fatica a trasformare questa idea in un’opera davvero incisiva, alternando intuizioni visive a scelte narrative poco convincenti, e sprecando in parte la presenza di due interpreti di primo piano come Bill Skarsgård e Anthony Hopkins.
Il protagonista riluttante: Eddie, ladro per disperazione
Il film si apre con Eddie
Barrish (Skarsgård), un uomo ordinario segnato da
errori e fallimenti. Separato dalla moglie Amy (Gabrielle
Walsh) e incapace di provvedere stabilmente alla figlia
Sarah (Ashley Cartwright), Eddie ha bisogno di
soli 500 dollari per riparare il suo furgone e dimostrare di poter
mantenere una parvenza di responsabilità. Non trovando altra
soluzione, decide di tentare il furto in un SUV apparentemente
incustodito.
Qui però inizia il suo incubo: l’auto si rivela una prigione
tecnologica inespugnabile, capace di resistere a qualsiasi
tentativo di fuga. Una prigione che ha un carceriere invisibile,
pronto a comunicare attraverso lo schermo di bordo: William
(Hopkins), il ricchissimo proprietario del
veicolo.

William, miliardario vendicativo e manipolatore
William non è un personaggio qualunque. Afflitto da un cancro terminale e distrutto dal dolore per la morte della figlia in una rapina, ha trasformato la sua auto in una trappola high-tech progettata per punire chiunque tenti di rubarla. Il suo obiettivo non è recuperare ciò che gli spetta, ma ergersi a giudice e carnefice, incarnando una sorta di giustizia privata.
Il problema, però, è che Eddie non ha alcuna connessione con il passato tragico di William. È un ladro improvvisato, vittima di circostanze economiche avverse. E proprio qui si innesta il cuore ideologico del film: il miliardario incarna il disprezzo delle élite verso i poveri, accusati di essere parassiti sociali incapaci di risollevarsi. William pontifica incessantemente sulla pigrizia delle nuove generazioni e sulla corruzione morale delle classi meno abbienti, finendo però per risultare una caricatura di predicatore reazionario più che un vero villain complesso.
Il gioco al massacro dentro l’abitacolo
La parte centrale del film si gioca tutta nello spazio ristretto del SUV. Eddie cerca disperatamente di liberarsi, ferendosi nel tentativo – emblematica la scena in cui, sparando al vetro antiproiettile, il proiettile rimbalza e gli colpisce la gamba. La macchina è un arsenale: sedili elettrificati, isolamento acustico, sistemi di blocco totale. Un vero e proprio laboratorio della sofferenza.
Yarovesky riesce a trasmettere la claustrofobia della situazione, sfruttando bene i limiti geografici dello spazio. Tuttavia, la ripetitività delle torture e la monotonia dei dialoghi rendono presto la visione estenuante. Nonostante la durata relativamente breve (95 minuti), Locked sembra allungarsi, intrappolando lo spettatore in un loop di prediche e sofferenze che non porta a sviluppi significativi.
Locked – In trappola tra allegoria sociale e ambiguità politica
Uno degli aspetti più controversi del film è il suo discorso politico. Attraverso William, il racconto sembra voler denunciare l’arroganza e la disumanità dei super-ricchi, pronti a sacrificare i deboli in nome di un ordine sociale illusorio. Tuttavia, alcune scelte estetiche e narrative alimentano ambiguità fastidiose.
L’incipit, con immagini di quartieri degradati accompagnate da musica EDM e cartelli legati al movimento Black Lives Matter, suggerisce una visione cinica e stereotipata della povertà e delle proteste sociali. Questo crea uno scarto tra l’intenzione dichiarata – criticare l’oligarchia – e l’effetto percepito, che può facilmente essere letto come un giudizio sprezzante nei confronti delle stesse vittime che il film dovrebbe difendere.
Skarsgård e Hopkins: due pesi massimi sprecati
Sul piano attoriale, Locked offre una prova discontinua. Bill Skarsgård, già abituato a interpretare ruoli inquietanti e disturbanti, fatica a trasmettere l’empatia necessaria per farci parteggiare davvero per Eddie. Nonostante l’amore per la figlia sia al centro delle sue motivazioni, lo spettatore rimane spesso distaccato, incapace di credere fino in fondo nella sua redenzione.
Anthony Hopkins, dal canto suo, fa quello che può per elevare un personaggio scritto in modo piuttosto schematico. Il suo William è freddo, implacabile, a tratti persino ironico, ma resta una figura troppo monolitica per risultare davvero credibile. Ancora una volta, il grande attore gallese si trova a impreziosire un materiale che non è all’altezza del suo talento.

Un’occasione mancata
Yarovesky dirige con mestiere, evitando eccessi visivi dopo un’iniziale carrellata circolare piuttosto gratuita. Sa muoversi nello spazio ristretto dell’abitacolo, mantenendo una certa chiarezza nella messa in scena. Ma ciò che manca è la profondità della scrittura. Lo script di Michael Arlen Ross costruisce un confronto ideologico tra vittima e carnefice che non si sviluppa mai in qualcosa di autenticamente drammatico. Il risultato è un film che resta a metà strada: troppo superficiale per essere una riflessione politica incisiva, troppo verboso per funzionare come puro thriller claustrofobico.
Locked – In trappola finisce per ridursi a un esperimento sterile. La sua premessa intrigante non trova mai uno sviluppo che sappia coinvolgere lo spettatore fino in fondo. Tra un protagonista poco empatico, un antagonista ridotto a caricatura ideologica e un sottotesto politico ambiguo, il film lascia una sensazione di incompiutezza.
Non mancano momenti di tensione ben gestiti e qualche trovata efficace, ma il risultato complessivo è un thriller che intrappola più che intrattenere, lasciando lo spettatore con la sensazione di aver assistito a una lunga metafora priva di vera sostanza. Sarà forse un risultato voluto?
Locked – In trappola
Sommario
Non mancano momenti di tensione ben gestiti e qualche trovata efficace, ma il risultato complessivo è un thriller che intrappola più che intrattenere, lasciando lo spettatore con la sensazione di aver assistito a una lunga metafora priva di vera sostanza.