Con Scarlet (Hateshinaki Scarlet), presentato in concorso a Venezia 82, Mamoru Hosoda firma il suo film forse più ambizioso e, al tempo stesso, più fragile. Dopo aver raccontato famiglie ricomposte (Wolf Children), futuri digitali (Summer Wars) e viaggi intergenerazionali (Mirai), il regista giapponese affronta il mito shakespeariano di Amleto attraverso una principessa guerriera, costruendo un’anime che mescola melodramma, fiaba medievale e musical. Un’operazione che, almeno nelle intenzioni, vorrebbe spingersi oltre i confini del fantasy tradizionale, ma che fatica a trovare un vero equilibrio.
Una principessa shakespeariana tra vendetta e perdono
Scarlet è una principessa e spadaccina che sogna di vendicare l’assassinio del padre, orchestrato dall’usurpatore zio Claudius. Tradita e avvelenata, precipita in un limbo ultraterreno dove tempo e spazio si dissolvono: un “Otherworld” sospeso tra passato e futuro, deserti e castelli, cavalieri e banditi. Qui incontra Hijiri, un giovane infermiere proveniente dal presente, che diventa suo compagno di viaggio in una ricerca che si trasforma progressivamente da vendetta a scoperta di sé. Hosoda costruisce così una parabola che intreccia il destino individuale con la responsabilità collettiva, tentando di trasformare l’iconico “essere o non essere” in una riflessione sul valore della pace in un mondo fondato sul conflitto.
Potenza visiva e fragilità narrativa
A colpire, come spesso nel cinema di Hosoda, è la dimensione visiva: le tempeste di sabbia, le eruzioni di lava, i tappeti ricamati in prospettiva zenitale sono momenti di pura meraviglia, amplificati da un sound design possente. L’animazione raggiunge punte di raffinatezza notevole, confermando il regista tra i maestri dell’immaginario contemporaneo. Tuttavia, la narrazione non regge la stessa forza. Troppi registri si accavallano: l’epica medievale, il melodramma, il musical (con un brano centrale in cui i personaggi cantano “Tell me about love”) e le citazioni shakespeariane finiscono per appesantire il racconto, che procede a scatti, più interessato a ribadire concetti che a lasciare allo spettatore la libertà di interpretarli.
Shakespeare in versione anime?
Il tentativo di rileggere Amleto attraverso l’animazione poteva aprire a un’esplorazione fertile delle emozioni e dei conflitti universali del testo. Eppure, nonostante l’originalità dell’idea di gender swap (una principessa al posto del principe), Scarlet non scava davvero nella complessità dell’opera shakespeariana: i dilemmi diventano frasi a effetto, la tragedia si stempera in moralismo, e il percorso di Scarlet si risolve in una catarsi prevedibile. La stessa presenza di personaggi come Polonio, Laerte, Rosencrantz e Guildenstern appare più come un omaggio teatrale che come un elemento realmente funzionale.
I punti di forza sono evidenti: un design spettacolare, una resa sonora e visiva immersiva, un mondo immaginifico che potrebbe quasi sostenere da solo l’esperienza. Il limite, tuttavia, sta nella scrittura: avrebbe giovato il respiro intimo che Hosoda padroneggia in altre sue opere, qui sostituito da una tensione eccessivamente decorativa.
Scarlet
Sommario
Scarlet è un film contraddittorio: ricco di invenzioni visive e di momenti di autentica potenza, ma incapace di sostenere il peso delle proprie ambizioni narrative.