Un film fatto per Bene: recensione del film di Franco Maresco – Venezia 82

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Franco Maresco torna a Venezia con un’opera che è, insieme, film e contro-film. Un film fatto per Bene prende le mosse da un progetto ambizioso: un lungometraggio dedicato a Carmelo Bene. Le riprese, però, naufragano tra incidenti, ciak infiniti e ritardi insostenibili. Andrea Occhipinti, produttore esasperato, decide di tirare il freno a mano e interrompere tutto. Maresco reagisce con un’accusa di “filmicidio” e sparisce dalla circolazione. A raccogliere i cocci ci prova Umberto Cantone, amico e complice di sempre, che si mette sulle tracce del regista, interrogando colleghi, tecnici e testimoni di un’impresa tanto folle quanto impossibile.

Il fantasma di Maresco

La ricerca di Cantone si trasforma presto in un viaggio dentro il mito maresciano: l’autore che da decenni alterna comicità corrosiva e disperata riflessione sull’Italia. Ma se in superficie seguiamo le testimonianze sul naufragio del film, in profondità si intravede un altro percorso: quello di un artista che si sottrae al presente, quasi un eremita che continua a filmare lontano da tutto e da tutti, con un solo scopo dichiarato — dare forma alla rabbia e all’orrore per un mondo “di merda”. In questa prospettiva, l’opera diventa un autoritratto involontario, una confessione che oscilla tra ironia e abisso.

Satira irriducibile

Come spesso accade nel cinema di Maresco, lo spettatore è spiazzato da una satira che non concede sconti. Tra immagini disturbanti, apparizioni grottesche e improvvisi lampi comici, il film mette alla berlina non solo il sistema produttivo italiano, ma anche l’idea stessa di cinema come forma salvifica. Se negli anni Novanta le provocazioni con Ciprì scuotevano censure e critici per blasfemia e oscenità, oggi Maresco sembra concentrarsi su un bersaglio più intimo: se stesso. Il risultato è un gioco di specchi in cui la realtà e la finzione si inseguono, senza mai incontrarsi davvero.

Tra disperazione e lucidità

Un film fatto per Bene non è un’opera facile né conciliante. È lenta, a tratti esasperante, eppure impossibile da liquidare. Dentro la sua struttura caotica pulsa la voce di un autore che, pur dichiarando di non credere più alla capacità del cinema di cambiare il mondo, continua a usarlo come campo di battaglia personale. La frase che chiude idealmente il film — “Da giovane sapevo che la bellezza non avrebbe salvato il mondo, ma credevo che il cinema avesse ancora un senso” — suona come un testamento. Amaro, autoironico, disperato. In altre parole: perfettamente maresciano.

Un film fatto per Bene
3.5

Sommario

Dentro la sua struttura caotica pulsa la voce di un autore che, pur dichiarando di non credere più alla capacità del cinema di cambiare il mondo, continua a usarlo come campo di battaglia personale.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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