Oggi ho il primo impegno di lavoro
alle 11.00. Vi rendete conto? Le 11.00. Col sole alto nel cielo e
senza la bruma e i lupi che ululano come nella brughiera scozzese.
Per un uomo sotto Festival il momento in cui il Capo ti comunica
che attaccherai alle 11.00 è recepito come il miracolo dello
scioglimento del sangue di San Gennaro. Quando l’ho saputo sono
entrato in uno stato di trance mistica recitando il rosario in
varie lingue morte che non conosco e ripetendo ossessivamente (in
italiano) la frase ‘Io sono giapponese’. A questo punto però
ero di fronte a un dilemma shakespeariano. Ho ben due ore di
vantaggio in mattinata rispetto agli altri giorni. Naturalmente le
pagherò stasera con gli interessi, ma ‘Sticazzi
(ricordate il nostro vecchio adagio veneziano?). Noi festivalieri
viviamo al secondo, navigando a vista, quindi stasera non esiste, è
come il futuro dei film distopici.
Quindi che faccio? Dormo come farebbe chiunque di normale oppure mi sveglio comunque all’aurora e vado in piscina per tentare di ridare un tono alle mie membra distrutte dalle fatiche e dagli eccessi festivalieri? Essendo un grande sportivo, ho deciso fermamente di puntare la sveglia alle 6.30 e andare in piscina.
Poi però col cazzo che me so’ alzato.
Anzi ho pure fatto tardi e dunque mi ritrovo a correre come un pazzo per arrivare in tempo, come sempre. Il clima è desertico e alterna notti gelide a giornate dal caldo terrificante e, dovendo vestirmi a strati – cioè, più che altro, sono il pilota del Gordian, tre robot uno dentro l’altro – e pur essendomi adeguatamente docciato arrivo alla Sala Petrassi che puzzo come una capra. Nessuno se ne accorge, fortunatamente. Gli altri puzzano come un letamaio.
Però, ci sono momenti
della giornata in cui tutto si parifica. Sono un po’ come i punti
di salvataggio dei videogiochi. Se Sonic fa girare
il palloncino, non importa che abbia perso tutti gli anelli. Se
muori ricominci da lì. Le proiezioni in questo arduo percorso sono
i nostri punti di salvataggio. Se ci arrivi, non importa quanto in
ritardo, tutto riparte da lì. E ci arrivo. Venti minuti in ritardo,
dai. Manco troppo. Faccio pure in tempo a fare la piscia.
Vah che è una bella giornata dopotutto. E ora un bel filmetto allegro, quel che ci vuole per iniziare energicamente la giornata. E invece no.
È un film di ragazzini che alla fine
della guerra vengono costretti a disinnescare mine, esplodendo
spesso in mille pezzi con tanto di budella al vento e arti monchi
che al cospetto i primi venti minuti di Salvate il
soldato Ryan sembrano una parodia dei fratelli
Zucker.
Sapete che c’è, io i
festival me li vivo il più tranquillo possibile. Non sto lì a
studiare tutto il programma in anticipo per sapere esattamente di
cosa parla il film. Se posso, preferisco la sorpresa. E eccallà, a
sorpresa. Land of mine, si chiamava,
e ora si capisce che quel ‘mine’ non stava per ‘mia’, ma per
‘mina’. Detto questo, è un film bellissimo, ma andateci
allegri.
Però prima avete riso sull’espressione ‘fare la piscia’, ammettetelo.
(Ang)
Ciao, oggi mi sono svegliata e stavo al Roma Film Fest (o Festa o comecazzosechiama). Voi direte: e che sorpresa è? Non è una sorpresa, se stai a Roma. Ma io ieri ero a Milano, e credo di essermi addormentata a Milano.
Quindi non capisco come
sia potuto succedere che io e la mia amica Sedia stessimo facendo
colazione insieme al baretto dell’Auditorium. Sedia è un’amica che
mi segue da un anno a questa parte, è la mia amica del cuore,
quella che riempie le mie solitudini immeritate.
Insomma, quando ho realizzato di essere nuovamente al Festival ho deciso di vedere Une enfance, un film ‘dove l’innocenza e la spensieratezza collidono con la violenza di situazioni psicologicamente estenuanti’. Il protagonista vuole essere un bambino, ma è schiacciato dal peso delle responsabilità. Ecco l’epifania. Ecco perché mi sono materializzata sorprendentemente al Comecazzosechiama. Il fato mi voleva dire qualcosa. Che la vecchiaia, se ancora non mi viene a prendere con un poderoso tracollo prematuro, è solo perché a guardarmi se sta a taglia’.
Torno al norde. Forse.
A domani
(Vì)