8mila metri di morbidezza

Questi scalano l’Everest e io a metà della prima giornata di Festival c’ho già l’affanno, l’intestino bloccato e gli occhi iniettati di sangue. Il film che apre la kermesse parla di un nugulo di uomini durissimi che conquistano la vetta della montagna più pericolosa del mondo rischiando di morire veramente male – e riuscendoci, in gran parte. Non me dite che è spoiler che ve piscio sui pantaloni – e non solo ne sono felici, ma pagano pure, e tanto, per andare incontro a una fine barbina cantando ‘Hakuna Matata’.

 

Ditemi voi perché dovrei empatizzare con questi idioti, che fanno sembrare un premio di sagacia il protagonista di Into the Wild. Evvabbè, direte voi, ma in fondo il cinema…

In fondo il cinema un cazzo. E’ tratto da una storia vera, il che sono dieci punti in meno, come minimo.

VENEZIA 72: EVEREST, RECENSIONE DEL FILM CON JAKE GYLLENHAAL

Jake Gyllenhaal è il più tosto e maschio di tutti, e per compiacere le signore, grazie a un fisico forgiato da mesi di serrato allenamento e alle finezze di una sceneggiatura scritta con le scorregge riesce a prendere il sole in mutande a settordicimila metri senza patire il freddo. Come andrà a finire non ve lo devo veramente dire, dai.

Comunque, a proposito di grandi imprese, ne ho anch’io una da compiere. Devo assolutamente comprare la carta igienica prima della proiezione successiva, che il padrone dell’appartamento che m’hanno affittato non deve essere proprio il massimo della generosità e non ha fornito nemmeno i beni di prima necessità. E la carta igienica al Lido vale più di una bombola d’ossigeno in cima alla vetta.

Quindi lascio la proiezione dieci minuti prima che si concluda il film, anche perché sinceramente sono tutti bardati con tute, scarponi, cappelli e occhialoni e non se capisce più chi minchia è morto e chi no. Tranne la giapponese, ma quella in un film americano è una minoranza etnica e che sarebbe schiattata era chiaro dai primi cinque minuti di pellicola.

Vado all’emporio in cerca di una spesa rapida e mi ricordo con orrore che gli esercenti del Lido agiscono come se non ci fosse un Festival, ovvero con la velocità di un bradipo sotto l’effetto di una pasticca andata a male. Mezz’ora per un pacco di carta da culo, uno di Scottex e du etti de prosciutto crudo. Magro, che se i film fanno tutti cagare come quello di stamattina è meglio stare attenti all’alimentazione, o l’intestino rischia di sbloccarsi pure troppo, e tutto insieme. E io, al contrario de quelli là, a fine settimana ci voglio arrivare.

(Ang)

Primo giorno di Festival, primo film da vedere. Siccome so ‘na cacacazzi noiosa (mica glamour come il mio fido compare) vado a vedere il film che apre la sezione Orizzonti, nota per trattare temi sempre molto gioiosi e felici come ad esempio un marito malato di tumore.

Bene. Insomma, mi metto in fila -che fortunatamente scorre agevole- ed entro. Il film in questione è ‘Un monstruo de mil cabezas’ del messicano Plà, che non è un’espressione esotica di insulto ma è proprio il cognome del regista. La temperatura della sala, per chi ha fiducia nel domani, vi confermo che continua ad aggirarsi attorno a quella dell’oceano Atlantico nei punti più profondi, quindi smettetela con questo ottimismo! Mi copro come una vecchia con la pleurite e inizio la visione. Inizio la visione. Inizio la visione.

Volevo solo dirvi in maniera cretina che ho trovato questo film un tantino ripetitivo, nelle dinamiche, nelle tematiche, anche se ha spunti interessanti. Ma finiamola qui che non sia mai che si parli di robe tecniche in un luogo deputato a serissime amenità.

VENEZIA 72, FOTO: DIANE KRUGER, ELIZABETH BANKS, PAZ VEGA

Dopo volevo recuperare quello di apertura ma mi lascio prendere dai commenti dei colleghi e non me la sento di scalare st’Everest, che già uscita dalla sala e invece di accendermi una sigaretta mi sono data fuoco con l’accendino per scaldarmi, per cui niente, vado a vedere sto film delle giornate degli Autori. Arrivo bel bella e la fila pare quella per andare a Fregene, e inizio a sospettare che il panorama sia pure lo stesso. Per cui, faccio elegantemente il gesto dell’ombrello e mi rifugio al terzo piano a lavorare, in attesa dei filmetti della serata. Ma mi attende una sorpresa: il tè tailandese della sala stampa. Ve lo giuro, lo so che pensate io sia un’emerita cazzona, ma novità dell’edizione 2015 queste fantastiche provettone aromatiche, messe a disposizione dei poveri giornalisti nella variante rosa, camomilla e poinonmiricordo, in versione calda-fredda. Purtroppo non faccio in tempo a farmene dare un po’, anche se il mio amato collega Emanuele Rauco insiste per farmene provare un goccetto. La cosa fantastica è che queste provette trasparenti sono di dimensione di una lacca per capelli, e hanno il tappo rosa che si svita. Per cui quando qualcuno si attacca per bere tu non capisci se si sta suicidando con l’esame delle urine formato famiglia o se sta sperimentando una nuova dieta Dukan fatta con bibitoni in un nuovo packaging fashion (che ce po’ stà perché quelli che la seguono girano con ste bottiglie disgustose che penso dimagriscano per il dolore di portarsele dietro).

Sento le urla dal red carpet, è arrivata la madrina. Ve vorrei dire il suo cognome ma ancora non è capodanno.

Per cui vado. A-E-I-O-U ipsilon!

(Vì)

NOTA: Ringraziamo anche Marco Lucio Papaleo e Serena Catalano per l’orrenda foto della provetta. Dio li abbia in gloria, a ‘sti ragazzi.

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