Willard Christopher Smith Jr. è forse un nome che non dice niente a nessuno, a differenza di Willy il Principe di Bel Air, uno che non ha bisogno di presentazioni.
Era il ‘90 quando Will Smith si è affacciato sugli schermi di mezzo mondo interpretando fondamentalmente se stesso, un ragazzone di Philadelphia che canta il rap e fa ridere la gente. Così decolla la sua carriera, che lo porta a specializzarsi in film d’azione, cominciando con “Bad boys” nel ‘95, per proseguire con Independence Day, Men in Black (primo capitolo di una saga ormai ‘di culto’) e Nemico pubblico. Insomma, Willy mostra i muscoli, e bisogna ammettere che ci sa fare. Poi arriva il Duemila, con progetti più impegnativi da un punto di vista drammaturgico: il primo tentativo, Alì, gli frutta una nomination all’Oscar, così come il successivo La ricerca della felicità, diretto dal nostro Gabriele Muccino. Niente male come esordio nel cinema autoriale, anche se è difficile reprimere del tutto l’indole action.
Così Mr. Smith torna ai blockbuster esagerati con Io, Robot e Io sono leggenda, seguiti a ruota da Hancock, dove interpreta dichiaratamente un supereroe; salvo spiazzarci di nuovo con Sette anime, seconda collaborazione con Muccino. Un successo dopo l’altro per il Principe di Bel Air, anche se il recente After Earth non ha suscitato gli stessi entusiasmi dei kolossal precedenti. Ma siamo sicuri che è soltanto un passo falso in una carriera stellare destinata a riprendere il volo. Intanto la bella moglie Jada Pinkett e la progenie sapranno sicuramente come consolarlo. Noi, invece, sappiamo come festeggiarlo. HAPPY BIRTDAY, WILLY!