Adattare un romanzo per il grande schermo è spesso un’operazione complessa e a doppio taglio, che può rivelarsi un clamoroso successo come un prevedibile insuccesso di pubblico e critica: il confronto tra l’originale cartaceo e la versione di celluloide si delinea, con prepotenza, nella mente dello spettatore. In alcuni casi è, però, sorprendentemente la seconda versione a vincere l’ipotetico match: vedere alla voce Filth, pellicola di Jon S. Baird uscita nel 2013 e mai distribuita in Italia, che è un adattamento del romanzo cult Il Lercio firmato nel 1998 da Irvin Welsh, autore di un altro capolavoro immortale e politicamente scorretto come Trainspotting.
Il protagonista e mattatore assoluto della scena è il sergente Bruce “Robbo” Robertson (James McAvoy), il lercio del titolo appunto, ribattezzato così per via delle nefandezze di cui è capace: un concentrato dei peggiori mali che si possano annidare nell’anima di ognuno di noi, scorretto, blasfemo, razzista, omofobo, sessista, egoista e amante di tutti i piaceri della vita- dal sesso, ai soldi, alla coca fino alle donne – Robbo vive la sua deragliata esistenza nella speranza di ottenere, ad ogni costo, la tanto agognata promozione all’interno del dipartimento: per ottenerla è disposto a tutto, cercando di sbaragliare la concorrenza dei suoi colleghi fino a complicare le indagini per l’omicidio di un ragazzo giapponese, in una sfida personale senza esclusione di colpi che lo dovrebbe riportare ad occupare, di nuovo, un prestigioso ruolo sociale e a riconquistare l’affetto della moglie Carole e della figlia, Stacey.
Baird riesce nell’impossibile: non solo porta sul grande schermo un romanzo complesso basato su molteplici focalizzazioni, ma addirittura lo migliora di gran lunga, come ha dichiarato entusiasta lo stesso Welsh.
Filth è un film sorprendente, che pur avendo come protagonista un personaggio palesemente detestabile, scorretto, cinico e a tratti disgustoso, riesce a creare comunque un’innata empatia con lo spettatore, forse per via delle sue debolezze che lo rendono, ai nostri occhi “umano troppo umano”, citando Nietzsche: ci si crogiola con piacere nei piccoli “orrori” quotidiani di cui è capace, apprezzando il suo sprezzante senso dell’umorismo e il suo cinico disincanto nei confronti della realtà.
Nel libro il barlume d’umanità insito nel cuore di tenebra di Robbo è affidato alla voce narrante della tenia, il parassita che vive annidato nel suo intestino; qui invece tutto viene affidato alla splendida sceneggiatura dai dialoghi taglianti e all’interpretazione strabiliante di James McAvoy, capace di rendere semplicemente irresistibile un personaggio odioso fin dal principio, in realtà un’anima dannata che cerca una buona occasione per redimersi dopo essersi lanciato, a folle velocità, in una implacabile discesa all’inferno senza possibilità di ritorno.