Moon è il piccolo gioiello del 2009 diretto da Duncan Jones, scritto da Nathan Parker e con protagonista assoluto Sam Rockwell e la voce di Kevin Spacey.
In Moon Sam Bell (Sam Rockwell) è un astronauta che lavora da quasi tre anni in completa solitudine presso una base lunare gestita da una società energetica: la Lunar. Il suo compito consiste nel monitorare la corretta estrazione di Elio-3, un elemento straordinario grazie al quale le persone sulla Terra possono ormai disporre di tutta l’energia di cui hanno bisogno.
La solitudine di Moon
Il film si apre mostrando la routine quotidiana di Sam a pochi giorni dal suo ritorno a casa: i suoi gesti sempre uguali, le conversazioni vuote con il robot Gerty (in originale voce di Kevin Spacey, il suo unico “compagno”), la sua solitudine e la voglia di riabbracciare la moglie e la figlia. Durante questi ultimi momenti sulla Luna, però, Sam inizia a sentirsi male, ad avere delle allucinazioni e dei fortissimi mal di testa e, un giorno, proprio a causa di un malessere, fa un grave incidente durante un giro di ricognizione e perde conoscenza, restando intrappolato nel veicolo lunare. Al suo risveglio in infermeria Sam non ricorda nulla di ciò che è accaduto, ma si accorge che Gerty, il robot, si rifiuta di farlo uscire dalla base; insospettito, adducendo un pretesto per recarsi all’esterno. Una volta fuori farà una scoperta che lo condizionerà per sempre.
Ambientato in un ipotetico futuro, il primo lungometraggio del regista Duncan Jones -conosciuto anche come Zowie Bowie e figlio del celebre cantante David Bowie – è un piccolo capolavoro di fantascienza che, nonostante omaggi e citi alcuni grandi film del genere (come 2001: Odissea nello Spazio) riesce a ritagliarsi un ampio spazio di autonomia e originalità.
Il film, realizzato con
un budget limitato (5 milioni di dollari) e quasi interamente
interpretato dallo straordinario
Sam Rockwell, mette in scena in modo originale una
serie di temi scottanti come la crisi energetica, il rapporto
uomo-macchina, l’ingegneria genetica, la clonazione, soffermandosi
solo sulla vicenda di un individuo (o, sarebbe meglio dire, su
quella di una serie di individui) che comprende fino in fondo la
natura fasulla della sua esistenza. Il protagonista, infatti, è il
clone di una persona reale e la sua vita è destinata a consumarsi
in un eterno presente: senza passato (poiché i suoi ricordi non
sono altro che innesti di memoria) e senza futuro (poiché
programmato per vivere soltanto tre anni).
Inoltre, in Moon, l’inaspettato faccia a faccia tra cloni mette lo spettatore nella posizione di assistere ad un nuovo concetto di fantascienza; nell’infinità dell’universo, infatti, Sam non trova alieni o esseri paranormali, ma semplicemente un’altra faccia di sé stesso: un altro Sam incatenato come lui in un’esistenza potenzialmente reiterabile all’infinito e chiusa in un non-luogo e in un non-tempo.
Altra particolarità di Moon è la presenza di una macchina, come il famoso Hal 9000, che aiuta e consiglia il protagonista, ma qui, a differenza di tutta la storia fantascientifica precedente è la macchina a rappresentare i buoni sentimenti, la pietà e la compassione che negli uomini che hanno condannato Sam a quel destino di non esistenza sembrano latitare. Un’opera prima Moon che riesce a toccare contemporaneamente le corde della ragione e dell’emozione, senza fare moralismi e senza apparire sterile. Un capolavoro di equilibrio tra storia e stile.