Viaggio a Tokyo – Shūkichi (Ryū Chishū) e Tomi (Higashiyama Chieko) lasciano la campagna di Onomichi per far visita ai figli a Tokyo. Arrivati nella grande metropoli, vengono accolti tiepidamente dai figli che, a fatica, sopportano la loro presenza.
Con un pretesto li mandano in una località turistica a passare il fine settimana. Solo la nuora Noriko, vedova da otto anni, li tratta con benevolenza e gentilezza. Alla fine saranno costretti a intraprendere il viaggio di ritorno verso casa.
Era il 3 novembre 1953 quando Viaggio a Tokyo usciva per la prima volta nei cinema giapponesi. Il 2015 è l’anno che riporta alla luce questa e altre cinque opere del geniale regista Ozu Yasujiro.
Restaurate e digitalizzate dalla major nipponica Shochiku, arrivano in Italia grazie alla Tucker Film. Un autore epocale, riportato nei cinema italiani a distanza di mezzo secolo perché, come disse Wim Wenders “mai prima di lui e mai dopo di lui il cinema è stato così prossimo alla sua essenza e al suo scopo ultimo”.
Viaggio a Tokyo recensione del film di Yasujiro Ozu
Un soggetto all’apparenza banale, uno stile essenziale. Sulla scia dei film del cosiddetto genere shomingeki, dedicato alla rappresentazione realistica e quotidiana delle classi popolari, allora specialità della Shochiku, proprio per questo convinta alla produzione del film.
Esaltata dalla capacità registica di Ozu, proprio l’essenzialità dell’opera ne fa una delle cose più vere e commoventi mai portate sullo schermo cinematografico.
Viaggio a Tokyo è vita vera, perciò così capace di toccare quei frammenti di esistenza che ognuno porta addosso. Così abile nel trasportare lo spettatore accanto ai visi bonari dei due anziani protagonisti, grazie all’utilizzo di camera fatto da Ozu, che la pone centralmente e in basso, proprio lì dove i personaggi usano riunirsi, inginocchiati l’uno di fronte all’altro.
Una storia familiare, che racconta l’incomunicabilità tra genitori e figli, sempre più acuita dal cambiamento dei giovani che crescono, dallo scorrere del tempo, che i long-take rappresentano così nitidamente sullo schermo.
Viaggio a Tokyo è, a tutti gli effetti, la rappresentazione del Giappone del dopoguerra. Le nuove generazioni così poco attente ai genitori e alle tradizioni, trasformate dal trasferimento dalla campagna alla metropoli.
Un passaggio dalla semplicità alla corsa allo sviluppo, dall’umanità alla disumanizzazione dei rapporti, tipica della realtà urbana.
Il viaggio è il modo degli anziani Shūkichi e Tomi di tirare le somme della propria esistenza, di osservare il distacco dei figli, senza mai dare giudizi di valore. La gentilezza della figlia più giovane, Kyōko, e della nuora Noriko sono le ultime tracce di umanità che il nuovo Giappone sembra aver preservato.
Viaggio a Tokyo è il canto della solitudine, dello scorrere del tempo, della vita e della morte. Ozu, nonostante il toccante finale, non trasforma il film in un dramma, ma in un delicato racconto con venature da commedia. Il nuovo Giappone non ha più tempo per le tradizioni, è frenetico, disumano, egoista. Eppure esistono ancora anime candide come quelle di Kyōko e Noriko. Il mutamento è la chiave. Il tempo scorre e le persone, come la società, cambiano inesorabilmente, nel bene o nel male.