The Cell – la cellula è il film del 2000 di Tarsem Singh e con protagonisti Jennifer Lopez, Vince Vaughn, Vincent D’Onofrio, Jake Weber, e Dylan Baker.
Anno: 2000
Regia: Tarsem Singh
Cast: Jennifer Lopez, Vince Vaughn, Vincent D’Onofrio, Jake Weber, Dylan Baker
Trama: In un futuro non troppo lontano, una tecnologia sperimentale permette agli psicanalisti di entrare letteralmente all’interno dell’inconscio dei loro pazienti, per meglio indagare sulla loro mente e ricorrere a dalle terapie più efficaci. Catherine Deane (Jennifer Lopez) specializzata in questo tipo di tecnologia, viene incaricata dall’ ispettore di polizia Peter Novak (Vince Vaughn) di entrare all’interno della mente di Carl Stargher (Vincent D’Onofrio), un serial killer finito in coma, per scoprire il luogo di prigionia della sua ultima vittima: dopo aver catturato le sue prede, le intrappola in una sorta di ‘gabbia’ destinata a riempirsi d’acqua, facendole così morire di annegamento, non prima di averne abusato sessualmente.
La protagonista comincia così le sue indagini all’interno della mente del serial killer, scoprendo che le violenze subite nell’infanzia ne hanno scisso la psiche: da una parte un bambino, a riassumerne la parte buona, dall’altra un mostro dispotico a dare forma ai suoi peggiori istinti. Catherine conquista così la fiducia del bambino, finendo tuttavia per diventare prigioniera della sua metà criminale.
The Cell, l’analisi
Dopo una discreta carriera nel settore dei videoclip musicali, Tarsem Singh decide di compiere il ‘grande salto’ sul grande schermo, con un thriller psicologico dai contorni futuristi che in fondo appare più che altro un pretesto per costruire scenografie ‘oniriche’, con ampi omaggi ad vari artisti contemporanei, da H.R. Giger a Damien Hirst.
Protagonista è una Jennifer Lopez tutto sommato a suo agio in scenari spesso simili a quelli dei videoclip musicali, affiancata da Vincent D’Onofrio nel ruolo del serial killer e Vince Vaughn in quello del poliziotto, tutti in interpretazioni non memorabili.
L’esito appare a dire il vero abbastanza contrastato: alla lunga si avverte un certo autocompiacimento (impressione rafforzata dall’esplicita autocitazione che il regista esibisce riproponendo in una sequenza l’ambientazione usata in precedenza per il video di Losing my religion dei REM), quasi che il film cerchi in tutti modi di voler essere collocato nella categoria del ‘cinema visionario’.
Il risultato è un’opera con pretese forse eccessive, che finisce per risentire forse troppo dei trascorsi del regista nel settore dei videoclip, risultando a tratti un pò manieristica, caratterizzata da un elemento ‘visionario’ troppo smaccatamente cercato. Tutto questo finisce fatalmente per incidere sulla componente più squisitamente ‘thriller’, all’insegna di un finale prevedibile raggiunto con uno svolgimento macchinoso, proponendo personaggi alquanto stereotipati, dalla protagonista ‘sobria’ che le fantasie del serial killer trasformano in una ‘dominatrix’, fino alla dicotomia bene – male, in cui tutto il positivo viene abbastanza banalmente identificato con l’infanzia.
Stroncato in larga parte dalla critica e dagli appassionati, il film ha comunque ottenuto un risultato più che lusinghiero al botteghino, con ricavi pari a oltre il triplo dei trentatrè milioni di dollari di costo.
Nel 2009 ne è stato prodotto un sequel, per nulla memorabile, direttamente indirizzato al mercato dell’home video.