Judy Garland Film

Judy Garland – Il suo destino era scritto ancor prima che nascesse. I suoi genitori avevano in comune l’aspirazione di entrare nello show business. Frank Avent Gumm era un tenore che lavorava al teatro di Superior, nel Wisconsin. Nello stesso teatro, il pianista era una donna, Ethel Marian Minle, irlandese come lui. Formarono un duo artistico, Jack e Virginia Lee lavoravano nel vaudeville. In seguito divennero Mr. e Mrs. Frank Gumm e dalla loro unione nacquero due bambine: Sue e Virginia. Questa nuova condizione familiare costrinse Jack e Virginia, gli artisti, a fermarsi, lasciando spazio ai genitori. Si stabilirono a Grand Rapids, nel Michigan, dove Frank divenne direttore del teatro locale.

 

Judy Garland altezzaEthel addestrava le piccole Gumm al canto e alla danza e le avviò presto ai primi spettacoli. In questo breve periodo di stabilità emotiva e geografica nacque il 10 giugno del 1922 una terza figlia. Frank avrebbe preferito un maschio, e tutti pensavano che dopo due bambine, sarebbe arrivato un erede maschio per i Gumm. Tutti erano pronti a festeggiare la nascita di Francis, invece venne alla luce un’altra bambina, Frances Ethel, l’unica della famiglia che sarebbe riuscita a realizzare i sogni di fama e ricchezza dei genitori. La futura Judy Garland.

Il debutto della piccola Frances avvenne a soli due anni e mezzo, la sera di Natale del 1924. Questo particolare aneddoto è diventato quasi leggenda, e come ogni leggenda che si rispetti, l’occasione è stata più volte rivisitata e romanzata, ma l’essenza del racconto è rimasta tale. Durante uno spettacolo delle due sorelle maggiori, la futura Judy Garland, saltò sul palco e cominciò a cantare l’unica canzone che conosceva: Jingle Bells. In questa occasione, tutti i presenti si resero conto che l’unica delle sorelle Gumm a possedere del talento era proprio lei, la nuova arrivata Frances.

Judy Garland biografia

Questa scoperta illuminò Ethel che convinse il marito a trasferirsi a Los Angeles per tentare la scalata ad Hollywood. I Gumm vendettero la loro casa e partirono da Grand Rapids nell’estate del 1924. Tra la città del Minnesota e Los Angeles, Le Sorelle Gumm parteciparono ad ogni spettacolo di vaudeville che trovavano lungo la strada, e proprio in una di queste occasioni la piccola Baby incontrò per la prima volta Joe Jr. Yule, anche lui avviato da piccolo agli spettacoli di vaudeville.

Judy Garland: film

Dal 1921, quando al cinema uscì Il Monello (The Kid) di Chaplin, ad Hollywood si era diffusa la moda degli attori bambini, ed Ethel, il “capo”del clan Gumm, fu particolarmente attenta a questa tendenza.

Molti anni dopo, un’affermata Judy Garland ricorderà con un po’ di tristezza quei tre mesi trascorsi con tutta la famiglia stipati nel loro furgone per raggiungere “la città degli angeli”.

Judy Garland biografiaI Gumm vissero a Los Angeles per sei mesi, e Frank divenne direttore di un teatro a Lancaster, a circa ottanta miglia dal centro della città, Frances ebbe così  la possibilità di crescere guardando film nel teatro diretto dal padre che veniva adibito anche a sala cinematografica. Prima della partenza per Lancaster però, la previdente Ethel iscrisse le sue tre figlie alla Meglin Kiddies, un’agenzia per bambini attori. Ethel costringeva la piccola Frances a fare spettacoli d’intrattenimento ovunque, in teatri ed in ristoranti e nel 1932 decise che doveva provare l’assalto decisivo ad Hollywood usando come ariete la figlia minore. Convinse il marito a trasferirsi di nuovo, questa volta nel cuore di Los Angeles  ed iscrisse Frances alla Miss Lawlor’s School of Professional Children. In questa scuola, uno dei compagni di classe di Frances fu Mickey McGuire. A questo periodo risale il distacco dal padre. La madre in persona fu la principale responsabile di questa prematura separazione, poiché portando le figlie in tour, lasciava il marito a casa. Le Gumm Sisters si esibirono per una settimana a Denver e poi passarono a Chicago.

Proprio qui, all’Oriental Theater, George Jessel, che aveva il compito di compilare i cartelloni degli spettacoli, ed occupandosi di quello delle sorelle Gumm, sbagliò lo spelling del nome e scrisse Glumm. L’errore venne subito notato, ma lo stesso Jessel sostenendo che il nome Gumm fosse poco adatto per un numero di vaudeville, e poiché in quel momento era in compagnia del suo amico critico teatrale Roberto Garland, decise, in accordo con Ethel, di cambiare il nome al trio. Fu così che per la piccola Frances si profilò l‘inizio del suo nome d’arte. Judy Garland venne in seguito, in omaggio ad una canzone di Hoagy Carmichael, molto amata da sua madre.

Judy Garland biografiaNel 1934, quasi per caso, Judy Garland sostiene involontariamente il suo primo provino importante. Durante l’estate di quell’anno, la famiglia Gumm si trasferì al Cal-Nega Lodge a Lake Tahoe per quattro settimane. Il proprietario del locale le chiese di cantare per alcuni amici; questi “amici” erano: Lew Brown casting director per la Columbia Pictures; Harry Akst, famoso compositore; e Al Rosen, un agente di Hollywood. Alla fine della performance di Judy, Rosen fece scivolare nella mano della bambina un foglietto con il suo numero riferendo alla madre di contattarlo a Los Angeles. Proprio Rosen divenne il suo primo agente, e le procurò un provino alla M.G.M.

Quel giorno cominciò la grande avventura di Judy Garland alla Metro: cantò per Rosen; Rosen chiamò Ida Koverman, segretaria di Louis B. Mayer; lei chiamò lo stesso Mayer che contattò gli avvocati e le fece firmare sul posto, lo stesso giorno, un contratto. Si hanno diverse testimonianze di quell’episodio tutte sommariamente concordi sui punti importanti; tuttavia, se nei ricordi di Judy Garland è il padre ad accompagnarla al piano, nella versione di Roger Edens sarebbe stata invece Ethel, la madre, ad accompagnare la performance della figlia. È probabile che il desiderio della presenza paterna in un momento così importante della sua nuova vita avesse spinto Judy Garland a sostituirlo madre. Sappiamo infatti che Frank morì di meningite spinale in pochi mesi, proprio nel momento in cui la carriera della sua Baby stava assumendo una forma più concreta.

Poco dopo Judy Garland cominciò a prendere lezioni private giornaliere da Edens. Alla Metro Judy ritrovò Mickey Rooney, insieme ad altre future co-star: Deanna Durbin, Jackie Cooper, Freddie Bartholomew. Tuttavia per circa un anno cantò solo alla radio oppure a feste e cene organizzate negli Studios. Finalmente, nel 1936 le diedero una parte in un film insieme a Deanna Durbin, si trattava di Every Sunday. Le canzoni vennero affidate a Con Conrad e Herb Magidson. In questo film, Judy Garland mostrò non solo la sua grande capacità canora, che già era conosciuta, ma soprattutto le sue doti di attrice. Vitale e frizzante la Judy Garland quattordicenne mostra tutto il suo brio in contrasto con una Durbin allo stesso modo brava ma molto più composta e pacata.

Dopo Every Sunday, Judy Garland viene “prestata” alla 20th Century-Fox per la realizzazione del non eccezionale Pigskin Parade(1936). Nell’elenco del cast Judy Garland appare nona, ma questa classificazione non è giustificata dal film dove la maggior parte dei numeri musicali ruotano intorno a lei. Questa fu la prima ed ultima volta che la Metro permise a Judy Garland di partecipare a produzioni esterne.

Il film successivo di Judy Garland fu Follie di Broadway 1938 (Broadway Melody of 1938 di Roy Del Ruth, 1937). Ad un party per celebrare il 36esimo compleanno di Clarke Gable, Judy Garland cantò “You Made Me Love You” all’attore, e nel bel mezzo della canzone improvvisò un’ardente dichiarazione d’amore nei suoi confronti. Questa improvvisazione venne inserita nel film del 1937. In quel numero Judy fu capace di ricreare dal nulla, senza nessuna previa preparazione, il carattere del fan malato d’amore per il suo idolo. Quella dedica fu registrata per la Decca con il titolo di “Dear Mr. Gable” ed ebbe un enorme riscontro sul pubblico dando a Judy Garland il suo primo vero successo personale e avvicinandola al regno delle star.

Il film successivo, Thoroughbreds Don’t Cry (1937), è da notare solo perché segna la prima collaborazione con Mickey Rooney. Invece Viva l’Allegria (Everybody Sing di Edwin L. Marin) primo dei tre film che girerà nel 1938, la vede protagonista. È un’occasione importante per Judy Garland che però comincia a scoprire il prezzo della celebrità. Il rapporto con la madre, che Judy ritiene responsabile della sua prematura separazione dal padre, peggiora poiché è convinta dell’esistenza di un accordo tra Ethel e Mr. Mayer, che la costringe a lavorare a tutti i costi. Passa tutto il suo tempo davanti alla macchina da presa, e quando non lavora, è in giro per il Paese a promuovere i suoi film.

Listen, Darling, il suo secondo film del ’38, si ricorda perché nella sua colonna sonora c’è il primo grande successo di Judy Garland “Zing Went the Strings of My Heart”. Ancora nel 1938 collabora per la seconda volta con Mickey Rooney. Andy Hardy (Love Finds Andy Hardy di George B. Seitz) fa parte di una serie di film incentrati sulla figura di un giovane, Andy Hardy appunto, interpretato da Rooney. Louis B. Mayer si interessò a questo personaggio poiché, a suo parere, rispecchiava il sogno americano essendo le sue avventure incentrate su una visione sentimentale della vita domestica. Il personaggio di Judy era Betsy Booth, e lei si ritroverà ad impersonarlo altre due volte sempre al fianco di Rooney.

Judy Garland Il Mago di OZ

Judy Garland Il Mago di OZLove Finds Andy Hardy fu l’ultimo film che Judy Garland interpretò da semplice attrice bambina; il 1939 fu l’anno de Il Mago di Oz, e dopo quel film Judy Garland divenne una star. Il 1938 fu un anno decisivo per Judy. Il Mago di Oz era una favola ad episodi per bambini, che come filo conduttore aveva il personaggio di Dorothy, una bambina sperduta nel fantastico Regno di Oz, che cercava di ritornare a casa, in Kansas. La fama di questo romanzo era paragonabile a quella di Peter Pan, altra storia ambientata in un mondo parallelo, L’Isola che Non C’è, con protagonista un’altra bambina (in questo caso Wendy). Entrambe le storie portano lo stesso messaggio riguardo ai legami che si hanno con la propria casa e i propri affetti, e forse proprio questo messaggio piaceva a Louis B. Mayer, che, essendo un emigrato dall’Europa dell’Est, non aveva mai avuto una casa. Ma questo messaggio si avvicinava anche al desiderio di sicurezza che si stava diffondendo in America e nel mondo all’alba di una nuova Guerra. La produzione de Il Mago di Oz (The Wizard of Oz) voleva Shirley Temple per la parte di Dorothy, ma Arthur Freed propose la Garland. Fortunatamente per lei, esigenze di contratto che legavano la Temple alla 20th Century Fox le impedirono di andare avanti col progetto e così Judy Garland divenne (e per certi versi rimase per tutta la vita) Dorothy. La sua interpretazione di “Over the Rainbow” è diventata quasi leggenda e la canzone accompagna la sua memoria come un leit-motiv. Molto delle sue dichiarazioni successive facevano riferimento a quell’arcobaleno che voleva rappresentare una felicità perfetta che in vita non raggiunse mai, e quando nel 1969 morì, la canzone divenne il suo epitaffio.

Per prepararla anche fisicamente al suo personaggio, Jack Dawn, direttore del dipartimento trucco, la acconciò con denti finti ed una parrucca bionda, look che venne fortunatamente abbandonato dopo tre settimane di riprese, perché la produzione si decise a mantenere l’aspetto di Judy Garland il più naturale possibile. Oltre al make-up, un altro problema riguardante il personaggio di Dorothy era l’età. L’autore del romanzo, L. Frank Baum, non aveva specificato l’età di Dorothy, ma era più plausibile che fosse una bambina di dieci anni (l’età della Temple nel 1938) che una ragazza di sedici (l’età della Garland), inoltre lo sviluppo fisico di Judy Garland fu piuttosto precoce. Si usò quindi un corsetto che le schiacciava leggermente il petto al di sotto del vestito azzurro.

Il problema riguardante il trucco dei tre compagni di viaggio di Dorothy risultò molto più complesso. Ray Bolger, Jack Haley e Bert Lahr, che interpretavano rispettivamente lo Spaventapasseri, l’Omino di Latta e il Leone Codardo, dovevano trasformarsi in creature di fantasia, ma dovevano tuttavia essere credibili nei loro travestimenti. Nel 1933 la Paramount realizzò Alice nel Paese delle Meraviglie, e il film fu un disastro sia finanziario che di critica. I personaggi di fantasia indossavano maschere che li rendevano inespressivi e poco credibili. Così la produzione de Il Mago di Oz optò per un trucco applicato al volto dei personaggi insieme a protesi sintetiche che potessero ricostruire le fattezze degli esseri magici interpretati dagli attori, che dal canto loro soffrirono ore ed ore di trucco prima di portare sul set un viso sofferente per sotto i caldissimi riflettori di scena. Il make-up ideale venne trovato anche per Margaret Hamilton, la Strega Cattiva dell’Ovest; una particolare sfumatura di verde brillante con la quale le dipinsero faccia e mani che le conferiva un aspetto tanto surreale quanto crudele.

Legato al colore è uno degli aspetti più interessanti del film; la decisione di usare una fotografia seppia per le sequenze in Kansas, e di usare invece il colore vivido del Tecnicolor per le sequenze nel mondo magico di Oz fu funzionale, ma soprattutto efficace e di grande effetto sul pubblico ed in particolare sui bambini. Come compagni di viaggio Bolger, Haley e Lahr sono eccezionali, e anche loro, proprio grazie all’enorme successo del film rimasero per lungo tempo legati al loro personaggio.

È probabile che uno dei motivi principali che determinarono il planetario successo del film sia riconducibile proprio alla scelta di Judy Garland per la parte di Dorothy. La sua sincerità di interpretazione e la sua capacità di emozionare il pubblico non servirono mai meglio un film come nel caso de Il Mago di Oz. Il suo fronteggiare la strega con tale ardente coraggio, il suo accorato saluto agli amici fantastici di Oz, tutto contribuisce ad una interpretazione davvero eccellente per una ragazza così giovane ma così dotata.

Si tratta quindi di un film molto riuscito sia per i risultati al botteghino che per i commenti della critica che però non si lasciò sfuggire la nota stonata costituita dalle scimmie volanti della Strega Cattiva dell’Ovest, eccessivamente grottesche. La 20th Century Fox, sperando di eguagliare il successo della pellicola targata M.G.M., produsse un film fantasy a colori, tratto da una commedia di Maurice Maeterlinck, The Blue Bird. Il film fu un disastro, e per la sua protagonista femminile, Shirley Temple, si trattò del primo grosso insuccesso dall’inizio della sua carriera nel 1933.

Per Judy Garland invece si aprirono le porte della Mecca del Cinema. La sua performance di Dorothy le valse una statuetta speciale agli Academy Awards, un mini-Oscar, e le garantì un posto di prestigio tra le star del musical della M.G.M. Judy non era mai stata così famosa, e per lei incominciò un periodo di duro lavora, ma di grandissimo successo.

Insieme alla statuetta speciale, Judy Garland ebbe anche il privilegio di lasciare le sue impronte nel cemento del marciapiede di fronte al Grauman’s Chinese Theater. La cerimonia avvenne nella notte della première del suo secondo film del 1939, Ragazzi Attori (Babies in Arms di Busby Berkeley), e sancì per la diciassettenne Judy il suo nuovo status di star, inaugurando il periodo più proficuo e impegnato di tutta la sua vita. Tra il 1940 e il 1950, Judy Garland divenne la vera e propria regina del musical al cinema, recitò in circa 20 film e prese parte a show televisivi e trasmissioni radiofoniche.

Judy Garland è alla Metro quando lo star system è al suo apice e gli attori, firmando un contratto con la casa di produzione, si consegnano totalmente nelle mani dei produttori, in questo caso di Louis B. Mayer e Arthur Freed. Questo tipo di contratti costringevano infatti gli attori ad accettare qualunque ruolo venisse loro assegnato; inoltre potevano essere “prestati” ad altre case di produzione per una o più produzioni, ma senza ricevere alcun compenso personale; tuttavia ricevevano lo stesso compenso se lavoravano sei giorni a settimana oppure se rimanevano a casa aspettando che venisse assegnato loro un ruolo. Judy Garland visse il suo decennio più produttivo a queste condizioni, come molte delle star degli anni ’30 e ’40.
Poiché Judy tendeva ad ingrassare, sin dai tredici anni fu sottoposta a diete forzate per tenerne sotto controllo il peso, e fu così che arrivarono le primissime prescrizioni di pillole che potessero aiutarla a mantenere dimensioni costanti e “adatte” al mondo dello spettacolo. A questi medicinali si aggiunsero gli integratori per far si che i piccoli attori-bambini fossero in grado di lavorare fino a sessantadue ore di continuo, ed i sonniferi per permettere loro di dormire solo in determinate ore durante i tour. Fu così, proprio all’inizio della sua sfavillante carriera che cominciò il lento declino della salute di Miss Show Business.

I problemi fisici e psicologici di questa crescita viziata dall’assunzione ad alto dosaggio di medicinali, si rispecchiarono nella sua caotica vita privata, che Judy faticò sempre a tenere insieme. Ovviamente gli Studios cercarono sempre di arginare questa sua instabilità; Judy cominciò a seguire sedute psichiatriche già all’inizio degli anni ’40. Tuttavia il controllo che la Metro esercitava sulla vita della sua giovane miniera d’oro era così invadente che, quando Judy si sposò per la prima volta nel 1941 con David Rose, l’unione fu vista da Louis B. Mayer come una limitazione al suo potere su di lei. Si è detto addirittura che, proprio durante il primo matrimonio, Judy fosse  rimasta incinta, e le pressioni dei produttori (Mayer in primis) la costrinsero ad abortire, per non rovinare la sua immagine di “ragazza della porta accanto” sulla quale era stato costruito il personaggio “Judy Garland”. Questo evento la lasciò traumatizzata per il resto della vita. Molto diverso fu invece il comportamento di Mayer nel 1945, quando Judy sposò in seconde nozze Vincente Minnelli. Il regista, essendo anche lui “di proprietà” della Metro, ed essendo uno dei più quotati dell’epoca, riuscì ad ottenere la benedizione di Mr. Mayer.

Nonostante l’insorgere di queste prime difficoltà nella vita di Judy Garland, nel corso della decade d’oro durante la quale lavorò alla M.G.M., nessun segno di questi problemi è riscontrabile nel risultato finale di un film. Davanti all’obbiettivo niente riusciva a superare la sua incredibile naturalezza e sensibilità di recitazione. Rimase sempre e in qualunque condizione fisica, un’interprete intelligente e versatile per quanto il suo volto potesse portare i segni della sua sofferenza. Numerose sono le testimonianze della sua professionalità dopo il ciak; per uno dei suoi numeri più famosi e anche complessi, “Be a Clown”, lei e Gene Kelly diedero il meglio in una sola ripresa, con una previa preparazione di sole quattro ore. Chiunque abbia mai visto lo splendido numero che chiude The Pirate di Minnelli, può capire quanto il palcoscenico fosse la vera casa di Judy Garland.

Arthur Freed, che ai tempi di The Wizard of Oz era produttore associato e compositore, e che dall’inizio aveva appoggiato l’idea che dovesse essere Judy ad interpretare Dorothy, divenne produttore a tutti gli effetti. Era persuaso che la coppia Garland-Rooney potesse essere un binomio vincente, e propose di realizzare un musical con protagonisti i due attori. A questa idea si associò l’incredibile successo dei film sulla famiglia Hardy, che portarono Mickey Rooney al successo e al conferimento del soprannome di money-maker. Dopo la prima collaborazione, i due attori, le cui vite si erano intrecciate molto prima che i due diventassero delle star, ritornarono così a lavorare insieme ad un film: Ragazzi Attori (Babies in Arms di Busby Berkeley; 1939). Arthur Freed si occupò della colonna sonora: scrisse con il suo vecchio partner, Nacio Herb Brown, “Good Morning” appositamente per il film, e aggiunse “I Cried For You” scritta invece con Gus Arnheim; Harold Arlen e E. Y. Harburg, che avevano già lavorato a The Wizard of Oz, composero “God’s Country”. La sceneggiatura venne assegnata a Jack McGowan e ad uno degli scrittori degli show di Andy, Kay Van Riper.

Questo è i primo di quattro musical che Judy e Mickey faranno insieme nei successivi cinque anni, prima del passaggio di lei a ruoli più maturi e dell’arruolamento di lui nell’esercito. Baby in Arms si ricorda anche perché fu il primo film alla Metro di Busky Berkeley, che fino a quel momento aveva lavorato per la Warner. Nel film, Judy e Mickey sono dei talentuosi ragazzi che vogliono raggiungere il successo nel teatro di vaudeville andando contro le autorità del loro piccolo paese impersonate da Miss Steele (ancora una Margaret Hamilton nelle vesti di cattiva), che invece vuole che i ragazzi stiano lontani dal mondo corrotto dello show-business. Ovviamente i ragazzi devono riuscire a mettere in scena uno show non solo per realizzare il loro sogno ma anche per salvare le loro famiglie dall’indigenza.

In questo musical i due attori sono esuberanti e grintosi. Gli occhi di Judy non perdono mai la loro luce d’innocenza. Riusciva sempre a immedesimarsi nel suo ruolo e, a mano a mano che matura come donna e come attrice, diventa più rilassata e composta anche nell’interpretazione. In questo caso è iperattiva, irresistibile. La sua naturale espressività e il suo tono drammatico danno a “I Cried for You” una dolcezza di intensità incredibile considerando la giovane età dell’interprete. Allo stesso tempo, senza sminuire il mal d’amore del suo personaggio, riesce a far ridere il pubblico mettendo in evidenza i cliché che drammaturgicamente vengono utilizzati per inscenare proprio il medesimo male.

Il numero finale è costituito da una canzone “God’s Country” che solo una persona eccessivamente patriottica può apprezzare, considerando che il messaggio finale è un inno all’America come solo paese dove “ognuno è dittatore solo di se stesso”.

Il film, costato appena 600.000 $, guadagnò solo negli Stati Uniti 2.000.000 $. Mickey Rooney fu candidato all’Oscar per la sua interpretazione, e anche se non vinse ebbe comunque il piacere di premiare Judy nello stesso anno, quando ricevette la sua statuetta in miniatura per Il Mago di Oz.

La coppia Mickey-Judy, dopo lo sfolgorante successo di Babes in Arms, era ormai diventata una risorsa nazionale.

Dopo un’altra incursione nel mondo di Andy Hardy,     Musica indiavolata (Strike up the Band di Busby Berkeley), del 1940, è il secondo musical della coppia, e anche se i due attori dividono il cartellone, il film è in realtà lo show di Mickey. Tuttavia Freed e Roger Edens scrissero appositamente per Judy per questo film “Our Love Affair” e “I Ain’t Got Nobody” che Judy canta in una silenziosa biblioteca dopo l’orario di chiusura. Quando Judy, con la sua voce profonda ed emozionante, comincia a cantare sembra meno bambina di quanto non sia ancora. C’è un suo numero, in questo film, “La Conga”, in cui Judy eccelle particolarmente. Consiste in una ripresa continua che dura cinque minuti, e che viene interrotta solo quando irrompono in scena gli altri ballerini. Allora l’inquadratura si spezza in molteplici angolazioni ed anche il ritmo cambia rompendo la magia creata dalla sua voce. Il finale del film, ancora una volta con forti accenti patriottici, è una climax con un’ultima inquadratura che vede Judy e Mickey sovraimpressi alle quarantotto stelle della bandiera americana.

Arrivò però il momento di cambiare, e così Freed diede a Judy una pausa dal suo ciclo di film con Mickey e preparò il suo passaggio da ruoli giovanili a personaggi più maturi. Andando contro il parere di George M. Cohan, Freed fece pressione affinché a Judy venisse affidato il ruolo principale in Little Nellie Kelly, e una volta ottenuti i diritti dell’opera teatrale, eliminò alcune canzoni originali per scriverne delle altre. L’aggiunta più vistosa fu quella della famosissima “Singin’ in the Rain” di Freed-Brown. Judy interpreta un doppio ruolo: una madre che muore dando alla luce una bambina, e la bambina stessa, una volta cresciuta. Questa è anche l’unica volta in cui la Garland muore in un film, e quindi il suo doppio personaggio ha quasi il valore di un rientro in scena.

Anche se Judy non domina perfettamente il suo film successivo, Le fanciulle delle follie (Ziegfield Girl di Robert Z. Leonard) del 1941, il suo nome, nel cartellone del film, viene messo prima di quello delle due sue co-star più famose: Hedy Lamarr e Lana Turner.  Il film prende il titolo da una serie di spettacoli teatrali dei primi decenni del secolo. Basandosi su spettacoli teatrali molto elaborati difficili da trasporre al cinema, la trama del film si concentra sul ”dietro le quinte” degli spettacoli stessi dove un trio di show-girls delle follie cerca di risolvere i problemi legati alle loro performance. Il personaggio di Judy, una ragazza che vuole entrare a far parte delle follie, ha il suo accento drammatico nel rapporto con il padre, anche lui artista di vaudeville, e i suoi momenti migliori nelle sequenze cantate.

Nel 1941 Judy ritorna ancora al fortunato personaggio di Betsy Booth, nella serie della famiglia Hardy. Il film è La Vita Comincia per Andy Hardy (Life Begins for Andy Hardy di George Brackett Seitz) e lei avrà solo un piccolo ruolo nel film. Registrerà anche quattro canzoni, nessuna delle quali verrà inserita nel montaggio finale. Questa è la sua ultima volta per Andy Hardy.

Il terzo musical di Mickey e Judy fu realizzato sempre nel 1941. I ragazzi di Broadway (Babes on Broadway di Busby Berkeley) trasse beneficio dal collaudato rapporto tra i due attori, ma soprattutto dall’affiatata squadra di curatori delle musiche: Busky Berkeley, Arthur Freed e Roger Edens. Anche la struttura del film è scandita da momenti chiave molto simili, se non identici, rispetto a quelli di Babes in Arms, con il risolutivo trionfo finale dei due interpreti.

Il film risulta gradevole, un show giullaresco messo in scena da Berkeley con un discreto spirito di immaginazione, ma ai fini delle nostre intenzioni, è importante esclusivamente perché segna l’inizio della relazione professionale tra Judy Garland e Vincente Minnelli. Freed infatti, lo aveva prelevato dai palcoscenici di Hollywood, sperando di coltivare a favore della Metro il talento del giovane regista. Uno dei primi compiti che venne affidato a Vincente fu quello di supervisionare alcuni dei numeri musicali della Garland.

La politica delle Major durante la Seconda Guerra Mondiale era quella di promuovere le ragioni di Stato in merito alla situazione bellica. La M.G.M. non si sottrasse a questa regola, e così anche Judy, essendo l’attrice di punta della casa produttrice, divenne un simbolo patriottico, che sbandierava i valori delle patria e portava con sé il messaggio che there’s no place like home (non c’è nessun posto come casa), messaggio che si portava dietro dai tempi di The Wizard of Oz.

For Me and My Gal del 1942 si adatta al periodo bellico, tanto che si parla persino di un vincolo di guerra per Judy, e per tutte le star sotto contratto con la M.G.M.. Il sacrificio di Judy alla causa della guerra, da parte della Metro, la costrinse a pianificare con cura ogni sua singola ripresa, tant’è che quell’anno le sue apparizioni furono limitate ad un cortometraggio a carattere documentaristico intitolato We Must Have Music. Il film spiega il modo di lavorare del dipartimento musical ed è costituito da un parsimonioso uso di sequenze tagliate da Ziegfeld Girl. Probabilmente per una confusione di intenti, For Me and My Gal appare come un film piuttosto discontinuo; rappresenta il debutto al cinema di Gene Kelly dopo  i fasti di Broadway. Kelly era diventato famoso oltre che per le sue eccezionali doti di ballerino, anche per il suo personaggio di Pal Joey, che rielaborò rendendolo più complesso: non più l’avventuriero senza scrupoli con tutte le caratteristiche del vaudevillian, ma anche un uomo che cerca di redimersi agli occhi del pubblico attraverso un autentico e sofferto rimorso.

Il tempo della diegesi è da ricondursi all’inizio della Prima Guerra Mondiale; ce ne accorgiamo quando Judy, attraversando un treno da un vagone all’altro, incrocia Kelly che legge un quotidiano con in prima pagina la notizia dell’affondamento del Lusitania. Judy interpreta una cantante e ballerina  che lavora in coppia con George Murphy, mentre Kelly è un egocentrico artista che compare sullo stesso cartellone del duo artistico Hayden-Metcalf (appunto Garland-Murphy). L’ostilità iniziale dei personaggi di Judy e Gene si trasformerà ovviamente in un profondo feeling artistico che spingerà il precedente partner di Judy a farsi da parte. Le vite dei tre personaggi finiranno per riunirsi a Parigi, dove Judy canterà canzoni della Prima Guerra Mondiale per allietare i soldati mentre Kelly e Murphy, entrambi arruolati dall’esercito americano, si scontreranno in un corridoio.

Il film diretto da Berkeley, risulta terribilmente limitato. Oltre ad essere la vetrina cinematografica di Kelly, For Me and My Gal è anche un tributo ad un ‘american love’: lo spettacolo di Vaudeville. Il duetto “Ballin’ Jack” e l’assolo “After You’re Gone” furono incisi per la Decca e diventarono hits .

Il 1943 comincia per Judy con Presenting Lily Mars. Il progetto era stato pensato all’inizio dal produttore Joe Pasternak come un ruolo drammatico per Lana Turner, che venne poi modificato in un musical per Judy Garland. Il personaggio di Judy è una giovane donna di provincia che vuole avere successo nello show business.

Nello stesso anno, la produzione mise in cantiere un nuovo film, Girl Crazy, dove veniva riproposta ad un pubblico accondiscendente la coppia Rooney-Garland. In questo caso, però, per divergenze produttive, a Berkeley venne affidata solo la direzione dei numeri musicali, mentre la regia del film fu curata da Norman Taurog. Questa sarà l’ultimo volta insieme per Judy e Mickey. Il film nasce da uno spettacolo di Broadway del 1930, nel quale Ethel Merman interpreta la sensazionale canzone “I Got Rhythm”. Il terzo film di Judy nel 1943 è Thousands Cheer, un altro musical patriottico degli anni della guerra, ancora con Kelly che interpreta un ex circense che non lavora per lo Zio Sam.

Il suo film successivo, Incontriamoci a San Louis (Meet Me in Saint Louis; 1944), costituisce una fase importantissima per la sua carriera,  segnando il suo passaggio definitivo a ruoli più maturi. Non solo a livello artistico, ma anche a livello economico, il film segna un importante tappa nella storia della Metro, e Judy, essendo la principale fautrice di questa successo, ne trarrà giovamento non solo per la sua carriera di attrice, ma anche per un miglioramento ulteriore del suo status di star. A questo film ho dedicato il primo approfondimento nella seconda parte.

Dopo lo zuccheroso lieto fine di Meet Me in Saint Louis, Judy si cimenta, ancora diretta da Minnelli, nel suo unico film drammatico interpretato per la Metro, Ora di New York (The Clock; 1945). Questo fu anche per Minnelli il primo confronto con il dramma, e questa volta fu proprio Judy a volerlo come regista, chiedendo che venisse chiamato per rimpiazzare Fred Zinnemann. I protagonisti sono Judy e Robert Walker.

Una segreteria e un soldato in licenza per 48 ore si scontrano alla Pennsylvania Station, si piacciono e si innamorano, passano una notte e un giorno insieme e si lasciano. Minnelli cerca di fare di New York un terzo personaggio dando una caratterizzazione all’ambiente. I due attori protagonisti offrono delle belle performance e si nota con piacere che le caratteristiche di grande attrice bambina di Judy, sono cresciute con lei. Il suo controllo perfetto di tutto il suo corpo le permette di essere straordinaria non solo sul palcoscenico, cantando e ballando in modo divino, ma anche in questa isolata parte drammatica. Nello specifico del film, la scena della sua colazione silenziosa è di grande tenerezza. Grande è la sua abilità di sostenere la scena con il silenzio.

La sensibilità di Judy ne ha fatto una attrice davvero particolare e proprio questo aspetto della sua recitazione le ha permesso di ottenere, nel suo film successivo, Le ragazze di Harvey (The Harvey Girls; 1946), un risultato davvero affascinante. Si tratta di un western ambientato nel XIX secolo, nel quale una serie di sub plot si intrecciano al filo conduttore del film che è la storia d’amore tra Judy e John Hodiak. Proprio questo sembra essere il difetto del film, che appare troppo “occupato”, affollato di temi e personaggi da sembrare quasi un film ad episodi. Il film vinse un Oscar per la miglior canzone: “On the Atchinson, Topoeka and the Santa Fe”.

Il film successivo la vede ancora collaborare con Minnelli, che aveva sposato nel 1945. Si tratta di Ziegfeld Follies (1946), un film ed episodi in cui Judy interpreta il segmento intitolato A Great Lady Has ‘An Interview. Il film è composto da una dozzina di sequenze, tra comiche e musicali, interpretate da un artista diverso. La maggior parte delle sequenze musicali è diretta da Minnelli, mentre le altre vedono la collaborazione di altri registi come George Sidney, Roy Le Ruth e Robert Lewis. Lo stesso Minnelli ha scritto riguardo alla difficoltà di portare avanti progetti di questo genere; si trattava infatti di seguire i vari attori che avrebbero dovuto prendere parte al film, e chiedere loro un po’ di tempo libero per realizzare la sequenza che a loro spettava. Un lavoro poco organico, quindi, difficile da organizzare e da realizzare più per problemi legati alla disponibilità del cast artistico che alle effettive difficoltà di resa del film.

La pellicola ebbe un enorme successo, ostentava una ricchezza quasi eccessiva nelle sequenze musicali, fortemente in contrasto con quelle comiche, che invece apparivano come scarne e prive di scenografia, quasi si trattasse di cattiva televisione. Per quel che riguarda Judy, questo piccolo segmento, che potrebbe sembrare solo una stravagante interpretazione di una grande artista, è in realtà molto di più. Kay Thompson e Roger Edens scrissero del materiale appositamente per lei, e mai come in questo caso, Judy si trovò ad interpretare una parte che così palesemente poco le si addiceva. La sua Great Lady parla ad una folla di giornalisti e fotografi dei suoi futuri progetti, dice che deve essere sempre drammatica e mai apprezzata per il suo corpo. Dietro la sua entrata fluttuante e il suo boa di piume si nasconde un’aspra satira.

Ancora Minnelli la dirige in Nuvole passeggere (Till the Clouds Roll By; 1946). La loro relazione professionale fu davvero rara, una vera e propria collaborazione che ha dato alla luce film davvero notevoli. In questo caso, Minnelli si occupò esclusivamente dei due numeri musicali di Judy, mentre il resto del film venne diretto da Richard Whorf. Il film è, infatti, disomogeneo se si confrontano le sequenze dei numeri curate da Minnelli rispetto al resto del film diretto da Whorf. Essendo una biografia del compositore Kern, il film si basa fondamentalmente su un medley di sue canzoni tenuto insieme da una trama piuttosto esile. Jerome Kern morì poco prima che il film entrasse in produzione, per questo si è pensato che fosse un tributo alla sua memoria, ma non è questo il caso. Garland interpreta Marilyn Miller, un’attrice di commedie musicali degli anni ’20 e ’30.

Il pirata (The Pirate del 1948), colorata e sfarzosa avventura esotica, sarà l’ultima collaborazione di Judy e Vincente. Anche questo film è stato oggetto della mia analisi, come conclusione del periodo durante il quale Judy ha lavorato con Vincente Minnelli.

Ti amavo senza saperlo (Easter Parade di Charles Walters 1948) ebbe un successo eccezionale. Questo è l’unico film in cui due icone del cinema musicale come Judy Garland e Fred Astaire recitano insieme. La loro collaborazione fu il frutto di un caso; infatti i protagonisti del film dovevano essere Gene Kelly e Cyd Charisse. Purtroppo entrambi subirono degli infortuni durante la lavorazione e furono sostituiti appunto da Judy e Fred. Il loro successo al box office fu così folgorante che spinse Betty Comden e Adolph Green a scrivere appositamente per loro The Barkley of Broadway.

I problemi di salute impedirono a Judy di partecipare al film e  al suo posto fu chiamata Ginger Rogers. Il film si basa su una scommessa che il personaggio di Astaire, Don Hewes, fa con Peter Lawford, poiché abbandonato dalla sua partner Nadine, giura di riuscire a far diventare una semplice corista di un nightclub una star. Ovviamente sceglierà a caso la prima ragazza che vede esibirsi su un palcoscenico di questi piccoli locali e ovviamente la prescelta è proprio Hannah Brown (Garland). Nel suo tentativo di istruire Judy, Fred fa di tutto per farle assomigliare alla sua precedente partner, e Judy, che invece è molto diversa da Nadine, fa fatica ad adattarsi a vestiti ampi e sfarzosi ed a movimenti pomposi caratteristici del personaggio di Nadine (Ann Miller).

In una delle loro prime partecipazioni ad uno spettacolo, lei vestita elegantemente in un abito lungo e azzurro, risulta impacciata e va avanti a ballare con una ridicola espressione attonita, portata avanti solo da un eroico, quanto stoico Don. Molto divertente è anche la scena in cui Don vuole testare il sex appeal di Hannah, quando le chiede di camminare da sola e di fare in modo che gli uomini si voltino a guardarla. La mdp posizionata dietro ad Astaire mostra i passanti che si voltano a guardare Hannah/Judy. Quando poi l’inquadratura mostra l’attrice in viso, si capisce che gli uomini si voltano, non perché lei sia particolarmente affascinante, come succedeva con Nadine all’inizio del film, ma perché Hannah fa delle smorfie davvero ridicole che incuriosiscono (più che affascinare) i passanti.

La scena per cui il film è rimasto famoso è il numero “Couple of Swells”. La canzone e i costumi furono poi introdotti da Judy in molti dei suoi spettacoli a teatro.

Merita una nota anche l’interpretazione di Ann Miller nel ruolo di Nadine, che proprio grazie a Easter Parade ha collezionato il suo numero più richiesto e famoso: “Shakin a Blues Away”.

Probabilmente come un cattivo presagio, questo è il primo film nel quale si cominciano a vedere improvvisi cambiamenti nel peso di Judy. Infatti mentre in tutto il film appare in forma, nel numero “Alabam’” è visibilmente più in carne.

Questo è il più piccolo di molti altri problemi sui quali ormai Judy non riesce più ad esercitare il suo controllo.

The Barkley of Broadway, che doveva rappresentare la seconda collaborazione di Judy con Fred Astaire, diviene invece l’ultimo film della coppia Astaire-Rogers, e il primo di una lunga serie di film ai quali Judy deve rinunciare, o per i suoi problemi di salute, o perché, pur avendo cominciato le riprese, è incapace di portarle a termine.

Nel 1948 Judy prende parte a Words and Music, per il quale gira una piccola scena da special guest, dove interpreta se stessa. Tuttavia è comunque per lei una soddisfazione, considerando il suo fallimento nella realizzazione della precedente pellicola. Ma questo film è anche l’inizio della fine per lei alla Metro, e una delle sue ultime interpretazioni per la casa produttrice. Anche se il suo partner in Words and Music è Rooney, il loro feeling non funziona più come ai tempi di Babies in Arms. Judy è cresciuta, e la recitazione scanzonata di Rooney, che tanto si addiceva alla sua fisicità minuta e che tanto piaceva alla generazione di adolescenti americani, non è più credibile in un attore di ventisei anni. I numeri di Judy sono due: un duetto con Mickey e un assolo. Appare molto stanca in viso, ma i suoi modi sono rilassati e la sua voce sempre splendida. Questo è l’ultimo film in cui Mickey e Judy appaiono insieme.

Dopo una breve pausa, ritorna ad un lavoro vero e proprio, Fidanzati sconosciuti (In the Good Old Summertime di Robert Z. Leonard; 1949), un remake di un altro film della Metro del ’40 The Shop Around the Corner. Dopo l’immenso successo di Meet Me in Saint Louis, Judy torna in un film in costume, ed anche la melodia iniziale del film ricorda vagamente le note di Saint Louis. I cambiamenti sostanziali rispetto all’originale del 1940 sono pochi; l’azione viene spostata da Budapest alla Chicago di inizio secolo e il negozio del titolo viene trasformato in un negozio di musica. Inoltre la trama viene complicata introducendo personaggi secondari. Il film ha un discreto successo, dovuto più alla presenza di Judy nel cast che a particolari qualità specifiche. Lei interpreta una commessa di un negozio di musica, insieme a Van Johnson. Le parti cantate stentano ad avere un vero e proprio posto nel film, tanto che per quattro volte all’interno della pellicola, Judy sembra cominciare a cantare senza soluzione di continuità con il resto della storia. Questa sua interpretazione testimonia il fatto che, nonostante la sua grande sensibilità da attrice, Judy fosse fondamentalmente una grandissima cantante.

Il film è certamente gradevole, ma c’è poco del marchio distintivo dei precedenti musical di Judy Garland. Da sottolineare nel film la presenza di Buster Keaton in un ruolo minore.

Questo film fu realizzato mentre si aspettava il via alla produzione di Annie Get Your Gun. Per questa pellicola, Judy Garland aveva già registrato le canzoni, e quando nell’aprile del 1949 cominciarono le riprese, lei doveva solo registrare le scena recitate. Tuttavia, da dichiarazioni solo di recente rese pubbliche, Judy Garland sul set appariva affaticata, in alcune riprese addirittura totalmente disorientata. È comprensibile quindi il fatto che un giorno, dopo una pausa pranzo, Judy non fu in grado di ritornare sul set, ottenendo un periodo di riposo dalla M.G.M.. Judy si ricoverò al Peter Bent Brigham Hospital presso il quale rimase per undici settimane. Il film fu completato da Betty Hutton, un’attrice della Paramount. Fortunatamente per la Metro, il film divenne un incredibile successo, anche senza Judy.

Ancora a riposo, quando arrivò la possibilità di recitare in L’allegra fattoria (Summer Stock di Charles Walters 1950) per Joe Pasternak, Judy lasciò prematuramente l’ospedale per prendere parte alla realizzazione della pellicola. Durante la sua pausa, Judy era ingrassata visibilmente.

In Summer Stock, Judy Garland torna ai tempi di Babies in Arms mettendo su uno spettacolo in una fattoria. Il suo ultimo film alla Metro non è eccezionale, ma è godibile. Malgrado i suoi collassi nervosi, Judy è di nuovo lei, ancora eccezionale regina della scena.

Le riprese di Summer Stock andarono avanti per sei mesi, Judy si presentava tardi sul set, o non si presentava affatto. Alla fine delle riprese, Pasternak decise che per la scena della festa nell’aia della fattoria era necessaria un altro numero. Judy registrò più magra di quasi sette chili il numero “Get Happy”, e il drastico cambiamento di peso in così poco tempo diede adito a delle voci riguardo al fatto che quel numero fosse già stato registrato per un precedente film e poi usato successivamente. Era infatti shockante per gli spettatori vedere per tutta la durata del film una Judy ingrassata e diversa da quella che erano abituati a conoscere, e poi alla fine del film, rivederla come all’inizio della sua carriera.

Ebbe un’altra opportunità di lavorare ancora con Fred Astaire. Fu chiamata per sostituire June Allyson in Royal Wedding, ma le sue assenze sul set spinsero la M.G.M. a rimpiazzarla con Jane Powell.

Senza dubbio la sua salute, mentale e fisica, si stava deteriorando e il suo matrimonio con Minnelli era allo stadio finale. Judy tentò il suicidio cercando di tagliarsi le vene dei polsi. Non riuscì a togliersi la vita a causa delle ferite poco profonde, ma fu chiaro ormai a tutti che il ‘caso’ Judy Garland era diventato davvero grave. A seguito del suo tentato suicidio, la Metro la svincolò dal contratto, ufficialmente per il suo bene, e per la prima volta in tutta la sua giovane vita, Judy si ritrovò senza un lavoro. Lasciò la sua casa, nella quale viveva con Vincente, e si trasferì al Beverly Hills Hotel con la figlia Liza. Madre e figlia partirono per New York.

Nella Grande Mela scoprì che non c’era lavoro per lei, la notizia del suo tentato suicidio e il suo comportamento poco professionale sul set contribuirono a non farle avere ingaggi. A lei vennero attribuiti i costi elevatissimi di produzione dagli Studios che la ritraevano come una diva capricciosa e poco affidabile.

Judy, per la prima volta, si trovò a dipendere solo da se stessa e non aveva più nessuno che la supervisionava dall’alto. Aveva recitato in ventinove film ed aveva apposto la sua firma su dozzine di canzoni. Ora la sua carriera cinematografica sembrava virtualmente finita. Il 10 giugno del 1950, esattamente una settimana prima della sua definitiva rottura con la Metro Goldwyn Meyer, celebrò il suo ventottesimo compleanno.

Durante il suo periodo di riposo, Judy conosce Sid Luft, ex pilota, ex produttore e agente teatrale ed ex marito di Lynn Bari. Diventò l’agente personale di Judy e, nel 1952 il suo terzo marito. Fu proprio da questa unione, ancora una volta per Judy professionale e sentimentale, che nacque l’idea di un tour europeo che si protrasse per tre mesi e che cominciò al London Palladium. Per il numero finale di questo primo spettacolo, Judy indossò lo stesso costume che aveva indossato in Easter Parade quando con Fred Astaire si esibì in “A Couple of Swells”, e seduta al bordo del palcoscenico cantò “Over the Rainbow”, tra il delirio degli spettatori.

Gli echi dei suoi successi europei spinsero Sol Schwartz, presidente della RKO, a chiederle di replicare i concerti al leggendario Palace Theatre di New York, che aveva smesso di essere palcoscenico da vaudeville dal 1932. Per il ritorno di Judy, l’edificio venne ristrutturato e riportato allo splendore originario da Edward F. Albee.

Judy era rimasta a lungo in un angolo, e il momento per il suo ritorno era psicologicamente quello giusto.

Sid Luft curò nei minimi dettagli tutta la produzione dello show. Tutto il personale della M.G.M. che aveva lavorato in passato con lei venne richiamato per allestire lo spettacolo al meglio. Charles Walter, regista di Summer Stock e Easter Parade, la diresse sulla scena; Irene Sharaff disegnò i suoi costumi, e Hugh Martin, compositore di “The Trolley Song”, l’accompagnò al pianoforte. Molte delle canzoni in programma erano parti delle colonne sonore dei molti film che aveva realizzato per la Metro, inoltre, il pubblico, a conoscenza della sua tormentata vita privata, le fu particolarmente d’aiuto.

La notte del 16 ottobre del 1951, per la prima di Judy al Palace venne srotolato il tappeto rosso. Un grande cartellone vecchio stile riportava il programma della serata: la seconda metà era tutta per Judy. Il suo arrivo sul palco venne accolto da un’ovazione, e la sua performance fu intensa così come se l’aspettavano i numerosi spettatori. Precedentemente pensato per delle repliche di quattro settimane, lo spettacolo venne messo in cartellone per il doppio del tempo.

Durante la domenica mattina della quarta settimana di repliche, Judy non si presentò sul palco, e Vivian Blaine e Jan Murray mandano avanti lo spettacolo. La temporanea assenza dal palcoscenico del Palace causò una nuova ovazione quando Judy ritornò in scena. A fine spettacolo, dopo il bis, il pubblico si rifiutò di andar via poiché non era ancora stanco di lei, della sua voce, delle sue interpretazioni magnetiche. Judy lasciò il palco in lacrime di gioia.

Jack L. Warner dichiarò che fu lui a proprorre il remake di E’ nata una stella (A star is born di George Cukor; 1954) alla Garland. In realtà, molti produttori erano interessati al progetto, già prima che Luft avesse contattato la Warner per proporre una coproduzione. A Star is Born del 1937 era un film già molto prestigioso che collezionò sei nomination all’Oscar e che fruttò molti riconoscimenti al regista, William Wellman, e agli attori protagonisti, Janet Gaynor e Fredric March. Anche questa sceneggiatura era stata tratta da un piccolo film precedente, What Price Hollywood? del 1932, diretto sempre da George Cukor. Proprio per Judy venne riscritta la parte della protagonista Esther Blodgett, che diviene una star del cinema sotto il nome di Vicki Lester, solo per perdere suo marito, la vecchia gloria del cinema Norman Maine che cade nel baratro dell’alcoolismo, interpretato da James Mason.  Il film necessitò di un periodo di riprese pari a circa dieci mesi, e questa volta i ritardi non furono attribuibili a Judy. Infatti la produzione decise di girare in CinemaScope, e questo rese più complessa la realizzazione del film.

Judy Garland fece il suo ritorno al cinema in grande stile.

In questa riscrittura dall’originale, la protagonista è una cantante con una piccola band. Norman Maine invece è un attore di Hollywood alle prese con problemi di alcolismo. Una giorno sente cantare Esther in un club e riconosce in lei “quel qualcosa in più” che secondo la divina Ellen Terry caratterizzava un vero artista. La porta all’attenzione di Oliver Niles, interpretato da Charles Bickford, che la provina. Così comincia la carriera di Vicki Lester, questo il nome d’arte che lo studio decide per la stella nascente. La carriera di Vicki assume un andamento inversamente proporzionale a quella di Norman che cade nell’alcolismo e nella depressione e alla fine si toglie la vita annegandosi.

Il ruolo di Vicki Lester non aggiunge nulla che non si sapesse già delle doti interpretative di Judy, tuttavia questa resta senza dubbio la sua migliore interpretazione perché è la più completa e la più complessa.

Il film offre anche a Judy una nuova splendida canzone: ”The Man That Got Away”. Ci troviamo in un momento cruciale del film, è qui che Norman si accorge delle qualità di Esther. Se il numero non avesse funzionato, tutto il film sarebbe stato in un certo senso mutilato. Il numero è perfetto. È probabilmente il numero musicale di maggior successo dell’intera carriera di Judy. La canzone è particolare, così come la sua interprete, e Judy la canta in maniera sublime, sottolineando ogni nota emozionale, senza mai forzare nessuna battuta. E quando la canzone finisce, il suo sospiro di soddisfazione per una canzone ben eseguita aggiunge il giusto tocco di realtà alla scena.

Il film risulta migliore nella seconda parte, quando scopriamo le grandi qualità di Esther e la seguiamo nella sua scalata ad Hollywood.

Come Esther e Norman, Judy e James sono superbi, la vera forza del film sta nella loro interpretazione di coppia. Dimostrano uno straordinario feeling, Judy non aveva mai avuto un partner maschile così adatto a recitare al suo fianco.

Quando A Star is Born esce al cinema, nel settembre del 1954, i critici si soffermano, incantati, sulla performance di Judy, dandole il bentornato nel regno delle stelle del cinema. Fu nominata all’Oscar come migliore attrice protagonista (unica volta nella sua vita), ma il premio andò a Grace Kelly per The Country Girl.

Purtroppo ci è impossibile vedere la versione originale di questo film. Infatti dopo il montaggio finale il film durava 182 minuti, troppi per la proiezione al cinema. Così la casa di distribuzione, la Warner Bros, si curò di far tagliare 26 minuti dalla versione  originale, che andò persa irrimediabilmente. Probabilmente furono tagliate alcune scene della parte iniziale che mostrano l’evoluzione del rapporto tra Esther e Norman.

La casa di produzione di Luft, che aveva fondato insieme a Judy, non produsse più alcun film insieme alla Warner dopo A Star is Born. Infatti la Garland sparì di nuovo dal grande schermo, per poi ritornarci nel 1961, quando ebbe un nuovo breve periodo di visibilità. Gli anni ’50 furono un periodo di relativa quiete, debuttò in televisione nel 1955 con lo show “The Ford Star Jubilee”. L’anno successivo debutta al Las Vegas’ New Frontier Hotel.

Nel 1956 Judy ritornò al Palace per uno spettacolo con cinque settimane di repliche, ma una laringite la costrinse a saltare parecchie date.

In questo stesso periodo però ebbe anche problemi finanziari e coniugali, c’erano infatti frequenti liti in casa Luft che sfoceranno nella separazione agli inizi degli anni ’60.

Nel 1959 si esibì per una settimana al Metropolitan Opera House di New York. In quel periodo il suo aspetto era molto peggiorato, era sovrappeso e molto affaticata. Non fu una sorpresa quando di li a poco, si sarebbe dovuta ricoverare a causa di un’epatite per una degenza di cinque mesi. Poi trascorse quattro mesi di riposo nella sua casa a Beverly Hills, e successivamente, con i tre figli e Sid, partì per Londra, dove visse l’anno più tranquillo della sua vita.

Alla fine del 1960 Judy si sentì pronta per ritornare. Il 28 agosto di quell’anno si esibì ancora al Palladium e cantò 30 canzoni ad una folla di più di duemila persone. Questo concerto fu seguito da un tour per le provincie inglesi e da due date a Parigi, al Palais de Chaillot Theatre.

Al suo ritorno a Londra, un altro uomo si affacciò nella sua vita, Freddie Fields, che aveva fatto parte della Music Corporation of America, ed ora lavorava in proprio come agente musicale, circondandosi di una stretta e selezionata cerchia di clienti. Judy Garland divenne una di questi. Con Fields, la sua carriera ebbe una breve rinascita. Fu lui infatti a procurarle un piccolo ruolo in un film di Stanley Kramer, Vincitori e vinti (Judgment at Nuremberg; 1961), il suo primo film dal 1954. Ma con ancora maggior successo Fields le organizzò un tour per sedici città compresa New York, dove si esibì alla Carnegie Hall. Proprio questo concerto newyorkese del 23 aprile 1961 divenne storico. Judy cantò ventisei canzoni ad una platea entusiasta, e i due dischi registrati quella sera conservano non solo l’intero concerto, ma anche l’incredibile atmosfera che quella sera si respirava nell’aria. Judy era capace di instaurare un rapporto speciale con gli spettatori, e quella sera si creò un’alchimia tra pubblico ed interprete tale da innalzare la stessa Judy allo stadio non più di Star, ma di leggenda. I dischi registrati schizzarono in cima alle classifiche degli album più venduti, e in qualunque città si recasse con la sua voce, replicava quel successo.

Nel film di Kramer, che sigla il suo ritorno al cinema, interpreta una tedesca testimone al famoso processo di Norimberga. L’idea parte da una produzione televisiva che Abby Mann adattò per il grande schermo, ed il film vanta un cast straordinario: Spencer Tracy, Burt Lancaster, Richard Widmark, Marlene Dietrich e Maximilian Schell. Oltre ovviamente a Judy Garland e Montgomery Clift, ai quali vennero affidati piccoli ma importanti ruoli. Come si evince anche dal titolo originale, il film è incentrato sul processo del 1948 che subirono i generali tedeschi a causa del loro supporto ad Hitler. Judy è una tedesca imprigionata per aver avuto una relazione con un uomo di origini ebraiche. Per la sua interpretazione l’Academy decise di nominarla all’Oscar come migliore attrice non protagonista.

Il suo lavoro successivo la vide protagonista di un cartoon come doppiatrice di una gattina in Gay Purr-re(1962). Judy si occupò sia delle canzoni che del doppiaggio del personaggio.

Nel 1963 invece venne diretta da John Cassavetes in Gli esclusi (A Child is Waiting). Il film, prodotto da Stanley Kramer, era tratto ancora da un lavoro televisivo di Abby Mann che si occupò ancora della sceneggiatura. Partner di Judy fu di nuovo Burt Lancaster. Il suo personaggio è una donna, Jean Hansen, che entra a far parte dello staff di una scuola per bambini con ritardo mentale. Jean Hansen è convinta che una sorta di rivincita, di successo, è possibile anche per quei bambini. Judy interpreta bene un ruolo a dire il vero non molto complesso. La sua  Jean Hansen si prodigherà per uno dei suoi allievi in particolare, un bambino più problematico degli altri che non riceve mai alcuna visita dai genitori. Queste sue attenzioni particolari verso il bambino le procureranno dei problemi con Dr. Clark (Lancaster). Per tutto il film, il suo ruolo è quello di osservatrice che non riesce a fare nulla di concreto per aiutare i bambini. Anche il suo aspetto risulta peggiorato, appare sovrappeso e il make-up non riesce a nascondere un volto rovinato dalla sua cattiva salute.

Ombre sul palcoscenico (I Could Go On Singing di Ronald Neame;1963) è il suo ultimo film. Ci sono elementi autobiografici, poiché si tratta della tormentata storia di una cantante di fama mondiale impegnata con un tour che interessa sei nazioni europee, ed in più ha dei problemi con un marito e con il suo unico figlio. La sua ultima canzone del film è quella che da il titolo alla pellicola “I Could Go On Singing” ed in sé racchiude quasi l’essenza di Judy, di una donna che solo cantando riusciva ad amarsi e ad essere amata.

L’anno successivo, Judy Garland viene ingaggiata dalla CBS per una serie televisiva. Vennero registrati  sequenze per ventisei ore, materiale sufficiente per diverse puntate, e proprio Judy insistette affinché nel primo episodio fosse presente anche Mickey Rooney. Tuttavia lo show non ebbe successo, anche a causa di un altro programma molto amato dagli spettatori, una serie western intitolata Bonanza, che andava in onda negli stessi orari.

Dopo il fallimento di quest’ultimo progetto, Judy partì per un tour in Australia dove però non venne apprezzata, e dopo 45 minuti di spettacolo fu costretta ad abbandonare il palcoscenico. Nel 1965 invece, al Palladium di Londra, sostenne un concerto con la figlia Liza, che segnò il tutto esaurito, spingendo i fan a chiedere una replica che ugualmente registrò la fine dei biglietti in vendita in pochissimo tempo.

Judy Garland: la morte

Negli ultimi anni della sua vita, Judy Garland si sposò due volte con due uomini molto più giovani di lei. Il primo fu Mark Herron, un giovane attore. Poi fu la volta di Mickey Deans, che era con lei quando morì. Quando Judy Garland invitò Liza al suo quinto matrimonio, la ragazza rispose che non ci sarebbe potuta essere, ma che sicuramente ci sarebbe stata per il matrimonio successivo.

Judy Garland trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Londra con Deans, tenendo qualche sporadico concerto nel Continente. La sua ultima apparizione in concerto fu a Copenhagen. Ma il suo aspetto era davvero dei peggiori in quel periodo, troppo magra e molto fragile. Il 22 giugno del 1969, Mickey Deans la trovò morta in bagno. L’autopsia dichiarò che la causa della morte era stata una overdose accidentale di sonniferi. Aveva 46 anni.

- Pubblicità -