Emily in Paris 3, la recensione della terza stagione su Netflix

La serie, creata da Darren Star, continua a seguire le vicende della stacanovista Emily Cooper, sempre più immersa nella vita mondana e pop di Parigi

emily in paris 3 recensione
Crediti STÉPHANIE BRANCHU/NETFLIX

Nel grande bacino di novità proposto da Netflix, torna con grande attesa Emily in Paris 3, la serie comedy creata dal padre di Sex & The City, Darren Star, e di cui si possono intravedere all’interno dei richiami a quella cult degli anni ’90. Dalla New York americana di Carrie Bradshaw, Star ci catapulta nell’atmosfera europea di Parigi, piena di luci, glitter, moda e libertà di essere in cui tanti sognano di trasferirsi.

 

Seppur venga restituita un’immagine stereotipata del mondo francese e, più alla larga, di quello europeo, qui nel cuore della Francia, fra una passeggiata all’Avenue des Champs-Elysées, uno scatto a Montmartre, una chiacchiera al Jardin du Palais Royal e la corsa giornaliera verso Place de Valois, tutto è possibile e qualsiasi cosa è accessibile.

I sogni si avverano se, come Emily, si crede davvero in essi. È seguendo questa logica che Darren Star fa muovere la sua nuova Carrie, molto più giovane della bionda Parker e, per l’età, anche molto più rebel. Emily in Paris 3 è disponibile in piattaforma dal 21 dicembre, proprio a ridosso delle feste natalizie, periodo in cui si può godere al meglio dei prodotti sul mercato streaming.

Emily in Paris 3, la trama

Dopo essersi trovata inaspettatamente di fronte a un bivio, Emily (Lily Collins) deve scegliere fra il lavoro con Madeline (Kate Walsh) da Savoir oppure con Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) all’Agenzia Grateau. Oltre a capire in che direzione far andare la sua carriera, Emily continua a pagare le conseguenze del suo rapporto con Gabriel (Lucas Bravo), in un triangolo amoroso con Camille (Camille Razat) da una parte e Alfie (Lucien Laviscount) dall’altra.

A darle una spalla su cui piangere è sempre la fedelissima Mindy (Ashley Park), pronta ad andarle in soccorso in qualsiasi momento. Fra incomprensioni, feste in Provenza, segreti nascosti e sguardi indiscreti, Emily dovrà far pace principalmente con il suo cuore, per capire se la strada che ha scelto di perseguire sia davvero quella giusta o se, alla fine, deve fare un passo indietro e guardarsi meglio dentro.

Crediti MARIE ETCHEGOYEN/NETFLIX

Glamour, cliché e outfit di lusso

In Emily in Paris 3, Emily continua a essere accecata dalle frivolezze mondane di Parigi e dallo stile europeo che proclama la liberté in tutte le sue forme e contesti, e in cui lei si è quasi del tutto immersa, aiutata dai progressi con la lingua francese. La giovane direttrice di marketing continua ad essere circondata e risucchiata nel vortice degli abiti, dei marchi di lusso, dei riflettori, del glamour e delle feste d’élite con champagne a profusione, sempre più a suo agio in un ambiente nel quale, in fondo, sembra essere nata.

Uno script leggero per una comedy senza impegno, costruita attorno ai soliti cliché che forse arrivati alla terza stagione si potrebbero iniziare a strutturare meglio, eliminando le dinamiche da luogo comune e inserendo alcune sequenze più succulente, non interrotte di continuo dalle immagini sfavillanti e da cartolina di Parigi, il cui intento sembra più quello di promuoverla che farla essere funzionale a livello di resa visiva.

In questa terza stagione, a rubare ancora una volta la scena a Emily – e non dispiace – , le due protagoniste indiscusse: la prima sono i luxury outfit sgargianti e super chic curati dalla customista Marylin Fitoussi, il cui lavoro eccelle per questo capitolo regalando meraviglia allo sguardo e desiderio di acquisto. Lily Collins li indossa con estrema eleganza e al contempo semplicità, strizzando un po’ l’occhio all’avvenenza e allo stile di Carrie Bradshaw (da ricordare che la customer designer ha avuto la fedele consulenza di Patricia Field).

La seconda è Sylvie, che per quanto possa sembrare a primo impatto la Miranda Presley de Il Diavolo veste Prada, è ben lontana dal vestirne i panni, staccandosi dall’immagine divinizzata di Meryl Streep. Il personaggio di Philippine Leroy-Beaulieu è determinato, carismatico, incisivo e decisivo ma sa anche essere più morbido, ligio al dovere ma senza strafare, lasciando aperta la porta del romanticismo e del diletto in cui si butta a capofitto, restituendo così un character tridimensionale pronto ad accettare qualsiasi sfida.

Fra carriera e scelte d’amore

I sub-plot di Emily in Paris 3 sono raccontati parallelamente alla trama principale, la quale si snoda attraverso due filoni narrativi: il primo riguarda il percorso sentimentale della protagonista, eternamente combattuta fra i sentimenti nutriti per Gabriel e l’attuale relazione con Alfie. Il secondo è quello del successo, una strada costellata di ostacoli che Emily riesce a superare reggendo sulle spalle l’orgoglio di tante vittorie. La serie così tenta di esporre sul piano contenutistico il concetto di sicurezza e fragilità, condizioni umane che sembrano agli antipodi ma che in realtà paradossalmente si intrecciano.

Se da una parte Emily si spiana la strada da sola, vantando una spiccata mente creativa e grande potere decisionale che la innalza a impeccabile donna in carriera stacanovista, dall’altra – come l’altra faccia della medaglia – è una ragazza in preda alle difficoltà e indecisioni personali che la vita le pone davanti, un po’ facendole lo sgambetto, e alle quali deve far fronte con un certo timore. Queste condizioni coesistono in lei e la formano in quanto donna, mostrandone in forma narrativa e visiva le sfumature. La serie, pur restando modesta, una lezione vuol darla: spesso, per poter crescere davvero, bisogna avere il coraggio di mettersi in discussione ed Emily un po’ ci ricorda che per quanto si possa essere perfetti agli occhi degli altri non lo è nessuno, e l’apparenza, come sempre, inganna.

In conclusione Emily in Paris 3 avanza nel racconto senza arricchirlo, prova a parlare di contenuti attuali in un contorno narrativo che non si degna di evolversi più di tanto, quasi rimanendo impantanato nelle stesse dinamiche. Una comedy da guardarsi senza porre troppa attenzione e neppure tante domande, leggera e con tanti fronzoli, che mira a un pubblico prettamente teen e per questo si accontenta di non sforzarsi nella sua progressione evolutiva.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
emily-in-paris-3Darren Star continua a seguire le vicende della stacanovista Emily, sempre più invischiata nelle dinamiche parigine dalle quali non riesce proprio a liberarsi. Seppur il prodotto sia piacevole e leggero, manca di novità, ruotando attorno ai soliti cliché in cui non si intravede una reale progressione. Persino i plot twist diventano scontati e questa, forse, è la maggiore pecca della serie.