“Non è facile vedere qualcosa che non è mai esistito prima.” Daenerys (Emilia Clarke) è sincera, quando dice a Jon quello che pensa, forse per giustificare se stessa della distruzione che ha appena seminato su Approdo del Re. Il penultimo episodio di Game of Thrones, quello del plot twist e della distruzione della Capitale, aveva dato indizi incontrovertibili su dove si sarebbe diretto il finale di stagione, e come dice l’ultima Targaryen, era davvero difficile vedere, immaginare, pensare qualcosa di mai esistito prima, non solo una visione di regno, di dominio e di compimento del proprio destino, ma anche un epilogo che potesse essere all’altezza di quanto fatto negli ultimi 10 anni, da un punto di vista produttivo e drammaturgico. Ebbene D&D hanno fatto del loro meglio e hanno seguito l’unico parametro che, contro i gusti personali e i pareri dei fan, può reggere: il finale di Game of Thrones (Game of Thrones 8×06) è giusto.
Che cosa si intende? Siamo tutti consapevoli, di fronte alle poche e intense scene che costituiscono l’episodio finale, dal titolo Il trono di spade, che la serie HBO ha visto il trionfo della visione di un personaggio in particolare, ovvero Tyrion Lannister (Peter Dinklage). Vero e proprio artefice del destino di Westeros, il folletto è riuscito a fare ammenda per i propri errori, è riuscito a sopravvivere in un mondo che lo voleva morto dal suo primo vagito, ha sofferto e perso ogni cosa, e adesso è pronto alla sua estrema, ultima decisione, ora che ha abbracciato il bene del popolo come unico vero sovrano da servire.
Tyrion si conferma la chiave della storia, personaggio giusto al di là dell’onore, dell’amore, della legge. Colui che riconosce il valore del futuro solo attraverso il ricordo e il monito del passato e che quindi vede in Bran lo Spezzato il sovrano perfetto per ricostruire un mondo dove tutti possano sentirsi al sicuro, protetti dal potere, sensazione che dovrebbe essere un po’ più conosciuta anche nella contemporaneità.
E che uno Stark sieda sul trono, non più quello di spade ma quello figurato dei Sette… ops, Sei Regni, è la conferma che la famiglia di Grande Inverno ha sempre fatto la differenza. Non a caso sono gli eredi di Ned Stark (Sean Bean) che prendono in consegna le sorti del continente occidentale, dal Sud fino al Nord, con Sansa giusta (di nuovo) Regina del Nord, e oltre la Barriera, dove Jon Snow (Kit Harington), che non ha mai abbracciato la sua natura legittima, torna a vestire il nero, ad abbracciare Spettro e a fare da “scudo ai domini degli uomini”.
Ancora una volta, Jon è rimasto fedele a se stesso ed ha scelto l’onore al di sopra dell’amore, ha scelto quello che era giusto e difficile fare, come quando ha lasciato Ygritte, o come quando ha salvato la vita dei Bruti. Ha deciso di uccidere (di lasciar morire) per la seconda volta nella sua movimentata giovane vita, il suo amore, in favore di un bene più grande. Come un vero leader, come un vero Stark.
E se il gene Stark ha attecchito bene nell’unico che non era effettivamente figlio di Ned, più originali sono stati percorsi intrapresi dagli altri eredi del protettore del Nord. L’incoronazione di Bran è sicuramente l’elemento di maggiore sorpresa sia per il pubblico che per i personaggi stessi, la proposta di Tyrion giunge inaspettata ma allo stesso tempo ragionevole e plausibile, e nel loro sostegno all’idea dell’ultimo dei Lannister, ogni personaggio sopravvissuto rivela la sua giusta natura: Edmure Tully si conferma inetto, Robin Arryn irrilevante, Ser Davos modesto e onesto, Sam Tarly buono ma troppo moderno nelle sue idee e nella sua proposta democratica, Sansa (Sophie Turner) orgogliosa e combattiva, una vera Regina, l’unica sopravvissuta, Arya (Maisie Williams) fiera e indipendente, un’avventuriera pronta ad arrivare dove nessuno si è mai spinto.
Nessuna scelta è stata scontata, nessuna giustizia cieca è stata applicata: Brienne (Gwendoline Christie), la (non più) Vergine di Tarth, assume il ruolo di comandante delle cappe dorate, e della guardia reale, porge il suo ultimo omaggio all’amato Jaime (Nikolaj Coster-Waldau), abbandonando una volta per tutte la (brutta) parentesi esplicitamente romantica della loro story line, realizzando il suo sogno di essere cavaliere; il tagliagole Bronn arriva ad ottenere il suo castello, Alto Giardino; Sam Tarly diventa Gran Maestro della Cittadella e rimane al servizio di Re Bran. Ogni personaggio trova la sua giusta collocazione, in quello che diventerà il futuro ordine del mondo, un ordine che non sarà più basato sul diritto ereditario, ma sulla volontà del gruppo, una sorta di oligarchia illuminata, non più disponibile al dispotismo familiare ma ancora troppo poco aperta da accogliere una democrazia.
Sembra adesso sovvertita la massima di Cersei che recita “al gioco del trono si vince o si muore”, perché tra il vincere, come hanno fatto gli Stark, alla fine, e il morire, come ha fatto invece Daenerys, tra le braccia e per mano del suo amato, Tyrion, Davos, Brienne, persino Bronn e a modo suo Sansa, hanno inserito una terza via, quella professata da Varys per tutta la sua vita: servire il popolo. Così come i protagonisti dello show hanno imparato a servire il popolo prima che se stessi, così David Benioff e D.B. Weiss hanno servito la storia, quella che ha connesso per oltre dieci anni gli spettatori di tutto il mondo, quella che non mancherà di destare scontenti, critiche, delusioni e, nuovo trend dell’internet, petizioni.
Ma la storia è quella che ci ha appassionati tutti, la storia e le storie sono quelle che ci rendono umani, la motivazione che ha spinto George R.R. Martin per primo a mettere mano alle sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, quelle che ci uniscono e quelle che ci fanno ricordare, anche quando non ci siamo più. Al valore di tutte le storie, di tutti i personaggi, da Verme Grigio che salpa per Nath per rendere omaggio alla promessa fatta alla sua amata, a Sansa che bellissima e fiera si erge a Regina del Nord, conquistando la ricompensa che ha così a lungo ricercato, sembra essere dedicata questa straordinaria avventura della HBO. Chi è stato testimone di questa vicenda dovrebbe essere grato per il regalo e pronto a custodirlo e tramandarlo, perché è questo che si fa, con una buona storia.