L’assedio di Waco, la recensione della minsierie su Netflix

La docuserie ricostruisce la tragedia del 1993 che colpì l'America, a causa di un incendio che divampò mentre la Polizia cercava di espugnare il ranch dove viveva la setta dei davidiani

L'assedio di Waco recensione miniserie

Netflix sta lentamente cedendo alle lusinghe delle docuserie. Il colosso streaming, e lo evidenziano i prodotti lanciati da un po’ di mesi a questa parte, ama molto far luce su fatti di cronaca sconvolgenti. A testimonianza di queste parole abbiamo Volo MH370 e Conversazioni con un killer, due delle offerte in catalogo che hanno lasciato molti spettatori, letteralmente, a bocca aperta.

 

Una reazione simile arriva con L’assedio di Waco, miniserie che sfrutta ancora una volta il genere del documentario per far conoscere al pubblico la setta religiosa dei davidiani, la quale contribuì a scrivere una delle peggiori pagine di storia americana. Si tratta, per chi non lo sapesse, di una vera e propria tragedia, a causa della quale morirono 82 persone, bambini compresi. A dirigere il racconto c’è Tiller Russell, in una ricostruzione degli eventi che parte dalla prima giornata di assedio, ossia il 28 febbraio del 1993, per arrivare al sanguinoso epilogo il 19 aprile dello stesso anno.

L’assedio di Waco, dentro le mura di Mount Carmel

A Mount Carmel, un ranch vicino Waco, in Texas, viveva una setta religiosa il cui leader David Koresh credeva di essere il secondo Messia. Nel 1993 gli agenti dell’ATF, dopo che era stata segnalata la presenza di una grossa quantità di armi nel complesso in cui l’organizzazione risiedeva, arrivarono a Mount Carmel con l’intento di perquisirlo, ma ci fu un conflitto di fuoco a causa del quale persero la vita quattro agenti.

Iniziò così un assedio che durò ben 51 giorni e che portò al coinvolgimento dell’FBI che avrebbe dovuto negoziare con Koresh per liberare gli ostaggi, mentre sul posto erano state schierati i team di salvataggio. La mancata comunicazione fra le parti portò, alla fine, alla tragedia finale. Circondarono il complesso con carri armati per lanciare gas lacrimogini ma un errore accidentale causò un grosso incendio. Non avendo gli strumenti per spegnerlo, furono costretti a guardare Mount Carmel bruciare, mentre dentro perdevano la vita anche dei bambini.

L'assedio di Waco netflixUn racconto poco esplorato per una storia molto profonda

C’è una cosa in particolare che rende L’assedio di Waco interessante: il suo repertorio inedito. Russell ha dovuto lavorare con una grande quantità di prodotti d’archivio per dar vita al documentario, i quali sono stati poi accuratamente assemblati per conformare una storia che avesse un filo logico e chiaro. A questi, a cui vengono spesso scelte soluzioni di split screen per mostrarli, sono alternate – o affiancate – testimonianze e ricostruzioni digitali del complesso di Mount Carmel. A costituire il fulcro di tutta la narrazione sono però le interviste svolte, le quali ci forniscono i quattro principali punti di vista attraverso cui affiorano le incongruenze dell’evento: l’FBI, i giornalisti, i davidiani e gli agenti dell’ATF. Il regista aveva perciò fra le mani un nutrito materiale da sfruttare, eppure nel corso della docuserie l’uso che se ne fa è pressoché superficiale.

Seppur molto concettuale sul piano narrativo, il contenuto proposto rimane noiosamente didascalico fino all’ultimo episodio. Non ci sono approfondimenti riguardo quel che visivamente è riportato, non si scava a fondo negli errori commessi dai federali né nella mancata comunicazione con il reparto di salvataggio, a causa della quale si innescò l’incendio finale. Resta solo una semplice esposizione cronologica dei fatti e un continuo scaricarsi le colpe fra FBI e ATF, che si riverberano fino alle battute finale. Un espediente, questo, che risulta infruttuoso poiché non coinvolge lo spettatore. Né tantomeno crea una connessione con il prodotto di cui sta fruendo.

Perché, di base, mancano dei tasselli. O meglio, chi guarda è consapevole dell’operazione minima, poco impegnata, svolta da Russell. E questo lo porta a distrarsi, cercando nel mentre di scoprire qualche particolare in più prima di proseguire. Un peccato, considerato il terreno fertile di spunti, grazie ai quali potevano essere introdotte una serie di riflessioni e analisi, volte ad arricchire la conoscenza del pubblico. E che avrebbero senz’altro contribuito a dare un taglio molto più gradevole e compiuto all’intera opera.

L’assedio di Waco aveva un compito. O se vogliamo una vera e propria missione. Celebrare le vittime del disastro nel suo trentesimo anniversario. E per dar loro onore, memoria e giustizia, avrebbe dovuto osare di più. Sforzarsi di guardare oltre il mero dibattito fra le parti coinvolte nell’assedio, poiché non era questa la miglior scelta per ricordarle. Non se ne fanno nulla, né loro né noi. Non basta neanche empatizzare con i sopravvissuti per capire la portata di questo dramma. Era indispensabile che si andasse in fondo a tutta la questione sollevata, alle controversie saltate fuori, alla semplice – ma in questo caso mortale – incomprensione della Polizia. Spiegare senza puntare il dito contro. Cosa se ne ricava altrimenti? Un ricordo adombrato da inutili attacchi e accuse. E questa modalità di narrare di sicuro non ci porta ad avere un quadro più generale. Solo tanta, tantissima rabbia.

- Pubblicità -
RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
Articolo precedenteAvatar: La Via dell’Acqua, il sorprendente video dal backstage
Articolo successivoRobin Hood – Principe dei ladri: tutto quello che c’è da sapere sul film
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
lassedio-di-wacoLa docuserie si pone l'obiettivo di commemorare le vittime coinvolte nell'incendio del ranch nei pressi di Waco, ottenendo un risultato ben lontano dall'intento. Russell non approfondisce la questione, si limita ad esporla didascalicamente e concentra la narrazione sul dibattito fra FBI e ATF, non portando ad avere un quadro più generale della questione, ma solo distacco da quello che si sta guardando.