Surface: recensione della serie Apple Tv+

Surface recensione serie tv

Dopo il successo ottenuto con la prima stagione di The Morning Show, Gugu Mbatha-Raw è tornata a collaborare con Apple TV+ grazie a Surface, dramma psicologico con risvolti che sconfinano nel thriller che vede come Creator Veronica West (Ugly Betty).

 

Surface, la trama

Dopo essere miracolosamente sopravvissuta a un drammatico tentativo di suicidio, Sophie deve ricostruire la propria agiata vita a San Francisco pur avendo perso gran parte della memoria. Ad aiutarla ci sono principalmente suo marito James, la migliore amica Caroline e la psicologa Hannah. Quando però all’improvviso spunta il misterioso Baden e le insinua il sospetto che il suo passato non è quello che tutti stanno tentando di farle credere, e soprattutto che potrebbe essere ancora in pericolo di vita, Sophie inizia a notare delle discrepanze nel suo presente che la portano a sospettare non si sia trattato veramente di un tentato suicidio…

Surface fatica a catturare l’attenzione dello spettatore

Nelle prime puntate, Surface offre allo spettatore uno sviluppo narrativo e dei personaggi che non rappresentano davvero nulla di nuovo rispetto al genere di appartenenza dello show, e, difetto sicuramente anche peggiore, non possiede uno spessore drammatico in grado di catturarlo veramente. A parte alcuni interessanti accorgimenti di regia che rendono la messa in scena intrigante, la serie si sviluppa attraverso un ritmo narrativo eccessivamente posato. Il che avrebbe potuto diventare qualcosa di originale se avesse permesso di approfondire la vita interiore e i dilemmi dei personaggi principali, magari anche quelli secondari rispetto alla protagonista Sophie. Ma ciò non accade, e alla lunga la fluidità “contenuta” della progressione narrativa diventa complessa da sostenere.

Una serie molto elegante nella forma

Visivamente piuttosto curata, Surface si fa notare in particolar modo per l’eleganza delle ambientazioni che rappresentano metaforicamente la gabbia dorata in cui la protagonista è rinchiusa: un fattore che avrebbe potuto diventare una stimolante fonte di contrasto man mano che si comincia a scoprire l’universo in cui invece vive e si muove Baden. Anche questo aspetto però viene purtroppo mal gestito, in quanto rappresentato in maniera fin troppo esplicita: il look estremamente curato e i continui cambi di costume di Gugu Mbatha-Raw diventano un fattore controproduttivo, in quanto distraggono ulteriormente dalla trama: anche se siamo coscienti possa sembrare un’osservazione superficiale, se non addirittura frivola, a tratti si presta maggiore attenzione all’abbigliamento alla moda dell’attrice che alle vicende del suo personaggio.

Scenografia e costumi catturano più della storia

Un lavoro estremamente curato per quanto riguarda scenografie e costumi, adoperato come artificio per catturare e intrigare il pubblico anche a dispetto di un prodotto non particolarmente efficace, era un qualcosa che avevamo già notato quando avevamo scritto della sit-com Loot con protagonista Maya Rudolph, sempre realizzato per Apple TV+. Che si tratti solo di un coincidenza o stia diventando un marchio di fabbrica della piattaforma in streaming, saranno il tempo e le prossime serie realizzate a dircelo…

Se la qualità media delle serie prodotte da Apple TV+ risulta a nostro avviso superiore rispetto a quella delle piattaforme di streaming concorrenti, Surface al contrario si presenta come un mezzo passo falso. A uno spunto di partenza non particolarmente originale segue uno sviluppo non equilibrato tra narrazione e messa in scena, con quest’ultima che risulta molto più curata (addirittura fin troppo…) rispetto all’altra. Gugu Mbatha-Raw – anche executive producer – Stephan James, Oliver Jackson-Cohen, Ari Graynor e Marianne Jean-Baptiste non riescono più di tanto a rendere i proprio personaggi bidimensionali, costretti a lavorare su una storia che non li aiuta a evitare molti stereotipi del genere.

Surface manca di piglio, di spunti e reali riflessioni su quello che vuole raccontare dietro la superficie. E cosa forse ancor più grave sembra tentare di nascondere questa mancanza con una confezione che sfrutta con eccessiva furbizia molti dei trend di questi anni. Peccato.

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