Basata sull’articolo del 2012 scritto da Joshuah Bearman per la rivista Playboy, The Big Cigar, la miniserie che vede Don Cheadle produttore esecutivo e regista dei primi due episodi racconta la vicenda di Huey P. Newton (André Holland), leader del movimento politico delle Black Panther e del suo tentativo di fuggire a Cuba per evitare il carcere. Ad aiutarlo nel 1974 a sfuggire alla cattura fu il produttore cinematografico Bert Schneider (Alessandro Nivola), in quegli anni uno dei più famigerati ad Hollywood in seguito al successo di Easy Rider.
Dietro alla confezione iper-patinata e lussureggiante di The Big Cigar, costruita con lo scopo esplicito di restituire tutto il glamour della Los Angeles dell’epoca, si nasconde una storia che ha il fiato cortissimo, tanto da non reggere neppure la lunghezza di sei episodi da quaranta minuti ciascuno. La messa in scena fatta di montaggio ellittico e musiche accattivanti non riesce neppure più di tanto a dare ritmo a una narrazione che non possiede solidità, che fin dall’episodio pilota dilata situazioni e sviluppo dei personaggi per tentare di ovviare a una storia che non pare proprio adatta per il prodotto seriale.
The Big Cigar, lo spunto principale rimane sullo sfondo
Quella che regge The Big Cigar è un’idea di partenza neppure poi troppo originale, dal momento che Bearman nel 2007 aveva scritto un articolo per Wired molto simile, il quale poi venne adattato per il cinema e divenne Argo, il film diretto da Ben Affleck e premiato con l’Oscar. Se in quel caso la sceneggiatura di Chris Terrio raccontava con pienezza e potenza narrativa la folle idea che permise all’agente della CIA Tony Mendez di portare in salvo i cittadini americani nascosti in Iran dopo la rivoluzione del 1979, nel caso di The Big Cigar purtroppo lo spunto di partenza rimane quasi sempre sullo sfondo, non serve quasi mai a direzionare la narrazione verso un punto preciso né tanto meno a creare un arco narrativo preciso per i personaggi protagonisti. Ed ecco allora che Newton sembra girare a vuoto e senza motivo per i primi due episodi, scentrato sia dal punto di vista umano che come figura storica, decisamente “edulcorata” sotto l’aspetto socio-politico.
Sembra infatti che l’intento principale del regista Cheadle che dei creatori di The Big Cigar sia piuttosto quello di restituire al pubblico un attivista “cool” e mosso esclusivamente da spirito civile e attaccamento alla battaglia per i diritti civili dei neri in America. Aspetto della politica di Newton innegabile, ma al tempo stesso non così cristallino e innocente come The Big Cigar lo presenta. Una problematizzazione maggiore del protagonista, del periodo storico e dei fatti avvenuti avrebbe senza dubbio giovato a una miniserie che invece resta eccessivamente in superficie, intenta a mostrare i lustrini e i riflettori invece che le zone d’ombra di storia e figure in scena.
André Holland, fiore all’occhiello di The Big Cigar
L’unico punto davvero a favore di The Big Cigar è come sempre André Holland, attore tra i più affidabili dell’odierno panorama contemporaneo americano sia sul piccolo che sul grande schermo. Nonostante non possegga materiale egregio su cui lavorare, Holland riesce comunque a dotare il suo Huey P. Newton della necessaria profondità per renderlo almeno interessante, complesso. Se la serie tende a semplificare troppi discorsi riguardanti questa figura storica di chiara complessità, almeno il suo interprete dimostra di non averla sottovalutata, o ancor peggio ridotta alla monodimensionalità.
Per il resto davvero poco o nulla si salva di uno show quasi mai coinvolgente, anche quando vorrebbe raccontare i momenti maggiormente drammatici della storia delle Black Panther. Anche il montaggio che alterna i vari piani temporali, solitamente efficace nel costruire echi emotivi all’interno della narrazione, questa volta appare un espediente invece che una necessità. Per il resto The Big Cigar è spettacolo, apparenza e pochissimo altro. Peccato, il materiale storico, sociale e politico per realizzare un prodotto di spessore c’era tutto….