The Crown 6: recensione dell’ultima stagione della serie Netflix

L'ultima parte del grande racconto di Peter Morgan è disponibile su Netflix dal 14 dicembre

the crown 6 recensione

Con la distribuzione su Netflix, dal 14 dicembre, degli ultimi episodi della sesta stagione, possiamo dichiarare conclusa l’avventura di The Crown 6 e dell’intero show, cominciata nel 2016 e giunta fino a oggi con un susseguirsi di casting, storie, rivisitazioni e un costante “riempimento” di quei momenti privati che i “comuni mortali” non hanno mai visto né conosciuto ma che la serie si è dilettata a raccontare, entrando nel privato della Corona,  che diventa metonimia per Elisabetta II.

 

Il colpo di coda della serie si sofferma da una parte sulle nuove generazioni, in particolare sul principe William, nella sua complessa elaborazione del lutto per la madre, Diana, nella sua relazione con la primogenitura e quindi con il padre, ma anche nel tenero e indovinato parallelismo con la nonna, la Regina Elisabetta II, che soltanto nel finale di stagione e di serie riprende a occupare il centro della narrazione. Dall’altra, The Crown 6 si chiude con un ritorno del fuoco su Elisabetta, riuscendo a trovarne ancora una volta l’aspetto inedito e non ancora indagato.

The Crown 6: la trama

L’atto finale di The Crown 6 si innesta direttamente sull’evento tragico della morte della Pricipessa del Galles: William e Harry sono alle prese con l’elaborazione del lutto e in particolare il primogenito paga un prezzo più alto, a causa non solo del suo essere schivo e non desiderare le attenzioni delle folle, ma anche per la sua smaccata somiglianza con la madre, tanto amata dal popolo quanto temuta per la sua imprevedibilità dalla Famiglia Reale. Questo particolare diventerà presto motivo di tensione con Carlo, che dal canto suo cerca di elaborare come può questo nuovo status in cui potrebbe finalmente essere libero di amare Camilla, ma deve trovare un canale di comunicazione con i figli spezzati dalla tragedia. Alla fine, come la Storia ha sancito, il suo amore si coronerà, non senza creare delle spaccature con i figli, in particolare il turbolento Harry, che non sente su di sé il peso, e quindi l’accettazione di esso, che invece comincia a avvertire William.

L’ultima parte della serie è poi dirottata, finalmente secondo chi scrive, sul personaggio di Imelda Staunton. Elisabetta torna al centro del racconto mentre, nel corso di una manciata di anni perde ogni punto di riferimento: muoiono infatti la sorella Margareth e la madre. Si apre quindi una porta di umanità sulla figura di Elisabetta, che attraversa una crisi esistenziale e che si sente ora davvero sola e cerca sostegno in quel nipote, bello e promettente, che sembra racchiudere tutte le sue speranze e le sue aspettative per il futuro del suo lavoro: il servizio del popolo. La celebrazione del Giubileo d’Oro, l’organizzazione dell’operazione London Bridge has Fallen (nome in codice per la sua morte) e infine la richiesta di Carlo di poter finalmente sposare Camilla sono gli ultimi tre ostacoli che Peter Morgan decide di porre davanti alla “sua” Elisabetta, prima di congedarsi da lei.

Peter Morgan torna alle origini

The Crown 6 recupera anche la struttura dei cicli precedenti, costruendo grandi episodi monografici in cui gli argomenti e i temi vengono affrontati, approfonditi e conclusi nell’arco di una sola puntata. Così trova il suo spazio nello show anche Tony Blair, oppure la giovanissima Kate Middleton, e infine di nuovo William che nel finale diventa specchio della nonna Regina, e assume su di sé, forse proprio attraverso il suo legame con dei “non-nobili”, l’incarico di portare la monarchia nel futuro, in concomitanza con quel Giubileo d’Oro tanto temuto da Lilibeth. Lo sguardo di William è l’anello di congiunzione tra l’isolamento e la normalità, una carezza verso la nonna e una mano tesa verso Kate (il popolo).

Il creatore di The Crown porta a termine la parabola dei suoi personaggi e soprattutto della protagonista, che lui trasforma in un personaggio della sua fantasia. Perché il piccolo miracolo portato avanti da tutta la serie, nel corso di questi anni, è stato quello di creare dei personaggi fittizi basandosi su persone e storie vere, dimostrandosi affettuoso e attento verso le verità storiche raccontate pur senza rinunciare mai ad affondare la penna in quegli spazi invisibili tra le pieghe dei fatti che sono state distese con l’immaginazione. Morgan ha raccontato il non visto costruendo per il suo pubblico un personaggio coerente, tragico e magnetico, che trova il suo compimento nello struggente episodio dedicato a Margareth e nei suoi colloqui immaginari con le altre sé (per l’occasione tornano anche Claire Foy e Olivia Colman). Oltre alla delizia di veder Imelda Staunton con Lesley Manville e con le altre interpreti che prima di lei hanno indossato la corona, questi momenti sono idealmente connessi e tirano le somme della vita di Elisabetta, di tutto quello a cui ha rinunciato per il dovere e di come solo lei, tra tutti, fosse in grado di svolgere il lavoro esattamente come andava svolto.

Il confronto con Margareth inoltre ci consegna anche la preziosa testimonianza di quello che poteva essere Elisabetta se fosse rimasta Lilibeth, rimarcando come la sorella fosse la sola testimone di quello spirito vibrante che aveva caratterizzato la ragazza, giovanissima. Pur non essendo nata per essere Regina, Elisabetta ha abbracciato il suo compito con onore e serietà, ricevendo in cambio sempre amore e supporto dai suoi sudditi, nonostante alcune ombre e momenti non proprio facili da affrontare. E fino alla fine è stata consapevole che lei sola poteva portare avanti il compito, lei che, come le dice un affettuoso Filippo (Jonathan Pryce) è una “specie in via d’estinzione”.

Peter Morgan fa esattamente la stessa cosa con il suo pubblico: in guisa di Regina, prima di tutto al servizio dei suoi spettatori, l’autore cerca di mettere a loro disposizione la storia, che conduce con coerenza ed eleganza, vergando un prodotto seriale di altissima qualità formale ed estetica, ma soprattutto con un grande cuore, una consapevolezza totale di sé, dato l’azzardo di arrivare a immaginare l’inimmaginabile, portandolo avanti con sicurezza nel mare di congetture, tenendo sempre a mente che i suoi personaggi, se pure in debito con le loro controparti reali, erano prima di tutto suoi. A questo proposito non sarà mai elogiato abbastanza il Carlo di Dominic West, che non avvalendosi di una smaccata somiglianza con il suo corrispettivo reale (vedi invece Elizabeth Debicki) riesce a dare vita a un personaggio inedito, che aderendo a ciò che si conosce dell’ormai Re Carlo, riesce a raccontare forse meglio di tutti quello che avviene “dietro le tende”.

L’unica capace di svolgere quel compito

In una presa di coscienza cristallina, che lascia spazio anche a qualche privato momento di commozione, Elisabetta II capisce che deve essere lei a continuare a regnare, nonostante sia ormai ragionevole pensare all’abdicazione in favore del figlio (adesso con una regina al suo fianco). Questo è il finale che Peter Morgan ha voluto regalare alla “sua” Elisabetta, una chiusura regale che mette in luce i due aspetti che di più hanno caratterizzato la vita della sovrana: la totale solitudine della Corona, ma anche la consapevolezza totale di essere l’unica capace di svolgere quel compito.

In grado di catturare le complessità della monarchia britannica, The Crown 6 lascia le scene con grande eleganza, come ha fatto la vera Elisabetta nel corso della sua lunga vita, e come ha fatto la Elisabetta di Imelda Staunton, solida e solenne, mentre esce dalla St George’s Chapel del Castello di Windsor.

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