Ha esordito su Netflix il 4 novembre la serie tv The Crown, prodotto anglo-americana creata e scritta da Peter Morgan. “La corona deve vincere, deve sempre vincere”: non importa quanti sacrifici vengano chiesti alle ambizioni e ai desideri del singolo, non importa quali capacità , inclinazioni o debolezze vadano a definire il carattere di chi sarà suo malgrado chiamato a raccogliere l’eredità del potere; la corona è un’istituzione radicata con secoli di storia che va preservata a qualunque costo e con qualsiasi mezzo, il prestigioso cerchio dorato dove ogni gemma incastonata deve brillare solo ed esclusivamente per servire ad uno scopo più alto.
Mentre la bufera della Brexit ci porta a interrogarci con insistenza sull’indole di un popolo che ha sempre difeso la propria indipendenza e tradizioni con orgoglio e una punta di egoismo non indifferente, Netflix si ritrova fortuitamente a cavalcare l’onda di una britannicità misteriosa e ancora tutta da scoprire con The Crown serie tv in 10 episodi che racconta i primi anni di Regno di sua Maestà la Regina Elisabetta II: il filtro implacabile e mai indulgente verso i protagonisti è quello della penna di Peter Morgan, già sceneggiatore di The Queen di Stephen Frears e dello spettacolo teatrale The Audience, entrambi dedicati alla Sovrana e interpretati da Helen Mirren.
Protagonista di The Crown è Claire Foy
Con la sua gioventù e inesperienza, per non parlare poi della quasi totale mancanza di un’istruzione adeguata ritenuta clamorosamente inutile e non necessaria per una donna persino se futura regnante, la Elisabetta di Claire Foy (alla sua seconda prova come monarca dopo l’Anna Bolena di Wolf Hall) è la perfetta sintesi di cosa i difficili anni del Dopoguerra richiedessero alla monarchia perché potesse sopravvivere quietamente e senza scossoni all’incedere inesorabile dei tempi: una figura priva di eccellenza e dal carattere indecifrabile(o come appuntato dalla sorella Margaret, senza carattere alcuno) capace di assecondare senza troppi sussulti le necessità della famiglia e del Regno vincendo l’insistenza di parenti, amici e persino di sè stessa quando la preferenza individuale diventi una minaccia per il mantenimento dell’ordine costituito; non insensibile, non priva di sentimenti, ma cosciente del bisogno istituzionale di annullarsi e scomparire, senza mai puntare i piedi ne alzare la voce, stando zitta quando l’occasione lo richieda.
Un giuramento che non concede mezzi termini, applicato rigidamente a Elizabeth Mountbatten Windsor quanto agli altri membri di una Famiglia Reale a suo modo disfunzionale e fradicia di rancori e rimpianti: si inizia con la vecchia guardia e col povero Giorgio VI, interpretato da un commovente Jared Harris, simbolo di come l’incombenza del ruolo possa distruggere la salute e l’anima di chi non abbia la tempra necessaria a controllare la propria umana fragilità , per poi proseguire col fratello David Edward, il sovrano mancato disprezzato da tutti, colpevole di aver voluto abdicare perchè incapace di rinunciare all’amore per Wallis Simpson e quindi anch’egli indegno di sostenere a lungo l’onore e il fardello della Corona.
Il prezzo imposto alla nuova generazione è altrettanto alto: per quanto apparentemente guidato da un sentimento sincero il Principe Consorte Filippo (un antipatico ma perfetto Matt Smith) finisce per sentirsi castrato e umiliato dall’ingombrante incarico della moglie, mentre l’essere sorella della Regina non salverà la Principessa Margaret, fresca, passionale e incredibilmente somigliante nei tratti di Vanessa Kirby, dal dover rinunciare all’amore della sua vita per proteggere i Windsor dalla minaccia di uno scandalo troppo grande per poter essere contenuto; esterno ai Reali ma non meno importante resta il Winston Churchill di John Lithgow (americano e impeccabile, con buona pace dei cari inglesi), ormai alla fine della carriera ma non ancora pronto ad arrendersi al futuro e a fissare nello specchio il volto di un uomo vecchio e stanco, gigante della politica e salvatore della Patria ma anche marito e padre putativo a modo suo tenero e affettuoso, nei confronti della regina stessa e di tutti i giovani che si avvicinano alla sua figura con culto e reverenza.
Grazie a una confezione prestigiosa per la quale non si è chiaramente badato a spese (fra i produttori spicca anche il nome illustre di Stephen Daldry), a prove attoriali inattaccabili e una sceneggiatura di ferro, per quanto priva probabilmente con intenzione della giusta verve richiesta alla chiusura di un finale di stagione, The Crown è una gemma preziosa che brilla ben oltre i limiti imposti dalla Corona di sua Maestà : il ritratto di un popolo che non dimentica mai la propria Storia, testardo e risoluto nel volere ascoltare null’altro che la propria voce e difendere il proprio Mito, l’alito di vento gelido che soffia insistente sotto la pioggia e abitua gli animi a indurirsi e a non abbandonarsi mai, per quanto il sole provi timidamente ad affacciarsi.


