Kong Skull Island segna il deciso ritorno dell’unico Re sulla scena, l’unico in grado di appannare Elvis, le sue melodie morbide e le Hawaii.
Anche l’enorme gorilla è l’unico, ed incontrastato, sovrano del proprio regno sorto nel nulla del Pacifico remoto, capo indiscusso di una schiera di creature mutanti che non sono altro che un mero, crudele, scherzo della natura. Dopo aver colonizzato l’immaginario del pubblico a partire dal 1933 – anno in cui comparve la sua prima incarnazione di celluloide – King Kong non ha mai smesso di esercitare il suo fascino spropositato sulle platee, tanto da attraversare diverse reincarnazioni tra sequel (Il Figlio di Kong, 1933), remake (il King Kong del 1976 seguito, anche questa volta, da annesso sequel) e reboot (come l’ultimo concepito da Peter Jackson nel 2005).
In questa nuova, ardita,
incarnazione cinematografica che ben si colloca nel solco del
MonsterVerse inaugurato dalla Legendary
Entertainment, la storia di Kong si allontana dalla trama
originale, valicando piuttosto i confini del tempo, della storia e
della citazione cinefila. Prendendo spunto a piene mani
dall’originale del ’33, dal film d’animazione giapponese
Princess Mononoke (1997) diretto
da Hayao Miyazaki, dai cult di
Francis Ford Coppola Apocalypse Now (a sua volta,
adattato dal classico Cuore di Tenebra di
Joseph Conrad) e La
Conversazione, senza trascurare i film coreani
(rappresentati da The Host, del 2006), gli
anime come Neon Genesis Evangelion,
ancora lo studio Ghibli de La città incantata,
Platoon di Oliver Stone e perfino quei
mostriciattoli che popolano l’universo dei
Pokémon, il regista Jordan Vogt –
Roberts è riuscito ad amalgamare un improbabile, quanto
curioso, mash up pastiche in salsa pop capace di
mettere d’accordo le fasce più distanti di pubblico, ancora deluse
dalla visione della versione firmata Jackson.
Kong Skull Island recensione del film con Tom Hiddleston
Per dare a Kong l’aspetto inquietante ed altero di un Dio tetro e solitario che si aggira per la propria, misteriosa, isola minacciata da creature mostruose e nuovi avventori della Domenica (armati fino ai denti), Vogt – Roberts ha ingigantito attraverso la CGI Kong e lo ha messo al centro dell’interesse di un progetto governativo noto come Monarch che, negli anni ’70 al bivio tra l’Era dell’Acquario, le “vibrazioni positive”, il tracollo di un’utopia, la minaccia della Guerra Fredda, Nixon e il Vietnam, è coinvolto nella ricerca di nuove e misteriose specie che sembrano popolare i posti più sinistri della terra. Ovviamente questo dettaglio non è casuale, ma costituisce un collegamento ipertestuale e semantico con un altro, gigantesco, mostro sbucato direttamente dagli incubi del passato prossimo umano: Godzilla, il lucertole preistorico a sua volta oggetto dell’interesse di diversi film “standalone” e di un recente reboot/remake.
Secondo i piani della
Legendary Entertainment, Kong Skull Island
dovrebbe costituire un ponte “crossover” tra le avventure di un
gigante e l’altro, che sarebbero pronti ad incontrarsi al cinema
nel 2019 (con l’atteso Godzilla: King of the
Monsters) per poi replicare l’anno successivo, nel 2020
con il definitivo capitolo dal titolo Godzilla vs.
Kong che non sarò altro che – appunto – un
crossover tra due linee narrative e due protagonisti che
si contenderanno il titolo di Re dei pesi massimi del grande
schermo.