Blackhat: la spiegazione del finale del film

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All’interno della filmografia di Michael Mann, Blackhat (qui la recensione) rappresenta un capitolo peculiare e controverso. Uscito nel 2015, il film porta la poetica visiva e narrativa del regista – già consolidata in opere come Heat – La sfida o Collateral – dentro un contesto globale e tecnologico. Se nei suoi titoli precedenti Mann aveva esplorato il rapporto tra individuo e sistema attraverso criminalità organizzata, banche e multinazionali, qui lo fa affrontando la minaccia invisibile del cybercrimine. È un passaggio coerente con la sua ricerca sul contemporaneo, ma meno immediato nel coinvolgere il grande pubblico.

L’idea di Blackhat nasce dall’interesse di Mann per le nuove forme di criminalità informatica e per l’interconnessione tra politica, economia e tecnologia. La sceneggiatura di Morgan Davis Foehl si ispira a casi reali di hackeraggio avvenuti negli anni precedenti, mostrando come un singolo attacco informatico possa mettere in ginocchio intere nazioni. Mann, affascinato dalla dimensione quasi astratta e immateriale di questa minaccia, decide di affrontarla con il suo stile iperrealista: una regia nervosa, digitale, che immerge lo spettatore nel cuore delle infrastrutture elettroniche e nei codici che governano la società contemporanea.

Il film si muove nel genere del techno-thriller, con elementi d’azione e di indagine investigativa, e affronta temi centrali del presente: la vulnerabilità delle infrastrutture globali, il confine sempre più sfumato tra sicurezza e libertà individuale, e il rapporto tra tecnologia e potere. Nonostante le critiche contrastanti e l’accoglienza tiepida al botteghino, Blackhat resta un tassello importante per comprendere l’evoluzione della poetica del regista. Nel resto dell’articolo proporremo una spiegazione dettagliata del finale, analizzando come Mann lo utilizzi per ribadire la sua visione del rapporto tra uomo, tecnologia e destino.

Blackhat film recensione

La trama di Blackhat

Protagonista del film è Nicholas Hathaway, un abile e spregiudicato hacker che si ritrova a scontare una condanna per alcuni reati di pirateria informatica. Una svolta per lui arriva nel momento in cui l’agente FBI Chen Dawai decide di avvalersi della sua esperienza per una missione altamente complicata. I servizi segreti si trovano infatti a dover fronteggiare una RAT, ovvero un malware in grado di controllare un sistema da remoto scavalcando le autorizzazioni previste. Così facendo, gli anonimi criminali informatici hanno preso il controllo di una centrale nucleare di Hong Kong e del Chicago Mercantile Exange. A patto di un annullamento della pena, Nicholas decide di accettare l’offerta.

Seguendo le direttive dell’agente Carol Barrett, Nicholas inizia dunque ad indagare sul misterioso hacker, cercando di scoprirne l’identità prima che questi possa spezzare i delicati equilibri tra la Cina e gli Stati Uniti. Incentivato dalla possibilità di ottenere la sua libertà, come anche dal sentimento che sviluppa per Lien Chen, Nicholas farà di tutto pur di conquistarsi una nuova vita. Per riuscirci, però, si troverà a dover fare i conti con il caso più complesso in cui si sia mai imbattuto. Il peso della pace internazionale grava interamente sulle sue spalle e più passa il tempo più Nicholas rischia di rimanerne schiacciato in modo irrimediabile.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Blackhat, l’indagine di Nicholas Hathaway si sposta definitivamente a Jakarta, dove il protagonista intuisce il vero piano del misterioso hacker Sadak. Le precedenti incursioni informatiche, compreso l’attacco alla centrale nucleare, non erano che una prova generale per un colpo più grande: sabotare una diga in Malesia e allagare diverse miniere di stagno, così da manipolare il mercato delle materie prime e arricchirsi. Per contrastare questa minaccia, Hathaway decide di spostare la partita sul piano finanziario, svuotando i conti del criminale e costringendolo a un faccia a faccia. È una mossa rischiosa, che lo espone a una trappola tanto prevedibile quanto inevitabile.

L’incontro avviene in un parco, durante una processione religiosa affollata, ma Sadak e il suo braccio destro Kassar non rispettano i patti e arrivano scortati da diversi uomini armati. Hathaway, preparatosi con un’improvvisata armatura e armi artigianali, dimostra di non aver mai smesso di pensare come un sopravvissuto. Dopo essere stato perquisito da Kassar, riesce a sorprenderlo e ucciderlo in uno scontro ravvicinato. Da lì la sequenza esplode in una scarica di violenza improvvisa: Hathaway viene ferito più volte, ma resiste, affrontando i sicari di Sadak in una lotta disperata che culmina nell’eliminazione dello stesso hacker, pugnalato a morte in un corpo a corpo tanto fisico quanto simbolico. Ferito ma vivo, Hathaway riesce a ricongiungersi con Lien, e i due lasciano l’Indonesia insieme.

Blackhat Chris Hemsworth
Holt McCallany, Chris Hemsworth e Tang Wei in Blackhat. Foto di Frank Connor – © 2014 – Universal Pictures

Il finale, pur essendo adrenalinico e costruito come un classico showdown “manniano”, lascia trasparire più di una semplice conclusione action. Il corpo martoriato di Hathaway diventa il segno tangibile di quanto sia costato affrontare una minaccia che non ha volto, se non quello che assume nel momento dello scontro diretto. Mann sembra dirci che dietro l’astrazione del cybercrime esiste sempre una mano, un corpo, una volontà che deve essere smascherata e affrontata, anche a costo di passare attraverso il dolore e la violenza. La lotta fisica, in questo senso, è un ritorno al primitivo, un modo per restituire concretezza a un conflitto che fino ad allora si era giocato nell’invisibile mondo dei codici e dei flussi digitali.

Dal punto di vista emotivo, il finale non è catartico, ma amaro. Hathaway sopravvive, ma perde tutti gli alleati lungo il cammino, da Chen Dawai fino agli agenti che lo avevano supportato. Rimane soltanto il legame con Lien, che diventa la sua ancora di salvezza e il punto da cui ricominciare. L’eroismo del protagonista non porta a un trionfo netto, ma a una fuga silenziosa, quasi clandestina, segnata dalle cicatrici fisiche e psicologiche. Lo spettatore resta con l’impressione che, pur avendo sventato la minaccia immediata, Hathaway sia condannato a vivere sempre in fuga, portando sulle spalle il peso delle sue scelte.

Cosa ci lascia il finale di Blackhat

In ultima analisi, il messaggio che Blackhat lascia è quello di un mondo in cui il confine tra giustizia e illegalità, tra lealtà e tradimento, è sempre più sottile. Hathaway è un hacker che lotta contro un hacker, un uomo che usa gli stessi strumenti del nemico per fermarlo, muovendosi in una zona grigia che riflette l’ambiguità del presente. Il film non offre risposte consolatorie: ci mostra invece la vulnerabilità dei sistemi globali e la fragilità degli individui che cercano di opporsi a minacce invisibili. Nel suo epilogo, Mann ribadisce la sua visione di sempre: in un mondo dominato da forze più grandi di noi, l’unica cosa che resta è la capacità dell’uomo di resistere, anche quando tutto sembra perduto.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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